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capitolo xxv 213


Lucano, Creusa giovine greca schiava di Lucano, Critone ateniese nonno di Creusa, Fabio adulatore aderente di Lucano, Lisca parasito, Damone eunuco schiavo di Lucano. Un segretario, sei littori di seguito al pretore, clienti di Lucano, seguito di Lucano, seguito del pretore. La scena si finge in una stanza del palazzo di Lucano.

Un personaggio calzato col coturno si presenta solo sulla scena, si annunzia per il Prologo, ed arringa il pubblico intorno alla commedia che è per rappresentarsi. Dà alcune notizie preliminari per la più facile intelligenza di una composizione, che per l’epoca di due mila anni si discosta dai nostri usi e costumi, e tien discorso delle azioni principali, degli episodi, dei caratteri, della critica e della morale della commedia. «Voi direte, o signori, (prosegue sempre il Prologo), che la commedia deve aggirarsi sopra i nostri costumi, i nostri vizi, le nostre ridicolezze, ed avete ben ragione; ma possiamo però talvolta valerci benissimo dei morti, affine di correggere i vivi; infatti voi vedrete sfacciato l’adulatore, indiscreto il parasito, insolente l’eunuco; tutti questi sono originali presi dall’antichità, ma per altro se ne incontrano copie moltiplici e somigliantissime nel nostro secolo». Discorre in seguito il Prologo sul carattere di Livia, che, vinta dal merito di Terenzio, fa inutili sforzi per sostenere l’orgoglio delle eroine romane. «Gli autori tragici esaltarono, egli dice, quella fierezza che è spinta fino al fanatismo, laddove all’opposto il nostro autore ne ha ricavato dalla medesima le arguzie più vive». Finalmente il Prologo termina il suo discorso con dimandare al pubblico un benigno compatimento in nome dell’autore.

Atto I. — Apre la scena Lucano seguito da Damone eunuco e suo schiavo. Questi si lagna col padrone, che le faccende più grossolane e faticose vadano tutte a pesare unicamente sulle sue spalle, e che Terenzio, schiavo al pari di lui, a null’altro sia riserbato, se non se a far ridere il pubblico. Aggiunge anche a tali lagnanze, che questo sfacciato satirico, chiamato poeta, ha avuto l’ardire di burlarsi di lui nella commedia intitolata L’Eunuco, e che perciò dimanda una riparazione di onore; dopo la qual ciarlata avverte Lucano, esservi nell’anticamera Lelio, che desidera parlargli: a quest’avviso Lucano va in furia contro lo schiavo perchè fa aspettare l’amico di Scipione; e Damone parte. L’oggetto per cui vien Lelio, è di complimentare Lucano relativamente ai fortunati successi di Terenzio ed aggiunge alle proprie congratulazioni quelle ancora di Scipione il giovine, chiedendo in nome di quest’eroe, e per parte degli Edili la libertà di questo schiavo africano, meritevole degli onori e dei diritti della cittadinanza romana. Lucano promette la liberazione di Terenzio: ma oltre alla medesima Lelio domanda in nome dell’autore comico il permesso di sposar Creusa, giovine greca. Lucano ama svisceratamente la sua schiava, onde Terenzio può sperare di godere la sua libertà, a condizione però di rinunziar per sempre agli amori di Creusa. Lelio informa Terenzio della volontà del padrone, ma l’amante poeta è pronto a rinunziare piuttosto a tutti gli onori in grazia dell’amore. Allora Lelio gli parla e da filosofo e da amico; ma Terenzio vede venir Creusa e la bellezza di questa avvenente schiava basta a scusarlo, sicchè Lelio confessa tacitamente che Terenzio ha ragione, e se ne va. Creusa, poi sembra inquieta, sbigottita: Lucano, ella dice, l’ha riguardato con aria minaccevole, ed oltre a ciò sente da Terenzio, che la reciproca loro passione non è più un mistero; teme dunque lo sdegno di un padrone a cui essa ha avuto la disgrazia di piacere;