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200 | parte seconda |
ministri, schiavi, e domestici, protesta ad alta voce di diseredar Thamas, ordinando severamente che sia proibito a questo figlio ingrato l’ingresso in casa sua. In questo mentre Fatima avverte che Thamas ed Ircana sono stati incontrati sulla strada d’Ispahan: ed essendo sempre in timore di nuovi insulti dalla parte della sua nemica, chiede di essere scortata alla casa del suo sposo, dopo la partenza di lui per Julfa donde non era ancora ritornato. Machmut vi si oppone, dichiarando Fatima sua figlia ed erede: ella però si esprime sempre col linguaggio della virtù, e procura di ricondurlo alla ragione; sono inutili tutte le rimostranze di lei. Thamas è proscritto senza scampo, ed Alì e Fatima devono far le sue veci. Quello però che reca a Machmut qualche inquietudine è il timore che Osmano non disapprovi le disposizioni prese senza il suo consenso. Questo guerriero è per arrivare a momenti; Machmut pertanto si determina di andare ad incontrarlo, pregando Fatima di restare in quiete e qual padrona in sua casa. Tanto in questa terza commedia quanto nella seconda, lasciai correre alcune mutazioni di scena che a me parvero necessarie: si passa infatti dalla città alla campagna, e là si vedono Thamas ed Ircana alle porte di Ispahan che passeggiano, guardandosi l’un l’altro senza parlarsi, nota essendo ad entrambi la loro proscrizione. Langue l’uno di dolore, freme l’altra di sdegno. In questo tempo esce Machmut da Ispahan con cavalli e numeroso seguito. Thamas si sbigottisce: Ircana lo spinge, lo nasconde nel bosco, e s’impegna di far fronte ella stessa allo sdegno di un padre irritato. Ecco pertanto una scena che potrebbe forse farmi onore, quando fossi capace di tradurre con precisione in francese i miei versi italiani. Per vero dire oso sperare che il pensiero sia nuovo e felice; gl’Italiani almeno l’hanno creduto tale; onde procurerò ora di farne conoscere il vero spirito. Machmut sdegnato alla vista d’Ircana cerca il figlio, biecamente guardando in varie parti, nè ravvisandolo, a lei si appressa con aria minaccevole e le chiede:
Irc. Al genitor dolente nuova funesta io porto.
Ah! il figlio tuo...
Mac. Che avvenne?
Irc. Il tuo diletto è morto!
Mac. Morto Thamas! Oh Numi! la vista, ahi, mi si oscura,
Ah de’ miei sdegni ad onta langue in me la natura.
Tu senza pianto agli occhi, barbara, lo dicesti?
Il figlio mio chi ha ucciso?
Irc. Crudel! tu l’uccìdesti.
Mac. Io l’uccisor del figlio? no, perfida, il mio sdegno
Seco a ragion mi accese, ma non fino a tal segno.
L’odiai sposo infedele, l’odiai di te consorte,
Sì, che bramai punirlo, ma non con la sua morte.
Tu, di furore accesa, perfido core ingrato,
Per vendicar tuoi scorni, tu l’averai svenato.
Irc. No, di sua mano istessa Thamas ferir si vide,
Muoio, diss’ei cadendo, e il genitor mi uccide.
Sì il padre mio, soggiunse, padre inumano, ingrato,
Che del mio core ad onta m’ha all’imeneo sforzato.
Pianger, pregar non valse del genitor al piede,
Seco vantar fu vano l’amor mio, la mia fede.
Strinsi l’odiata sposa a mio dispetto al seno: