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192 parte seconda


applaudire, purchè mi lasciate in libertà d’impiegarla a modo mio. — No signore, riprese allora bruscamente; mia moglie è prima attrice; mi farò piuttosto impiccare, che vederla degradata; — e mi volse in una maniera assai villana le spalle. Giurai però di deluderlo, e vedrete alla terza commedia di quest’anno se mi riuscì di mantener la parola. Siccome la compagnia doveva andare a passar la primavera e l’estate a Livorno, avevo fatto il conto di restare a Venezia, mia unica cura essendo la prima edizione delle mie opere. Pubblicati già dal libraio Bettinelli i primi due volumi del mio Teatro, andai a portargli anco il manoscritto del terzo; ma quale non fu la mia maraviglia, allor quando quest’uomo flemmatico dissemi con tutta pausa e con maniere fredde anzi ghiacciate, che non poteva ricevere altrimenti i miei originali, perchè li ritirava dal Medebac, a conto del quale appunto andava ormai il proseguimento della mia edizione!

Riavuto dal mio stupore, facendo succedere allo sdegno la calma: Amico, gli dissi, siate cauto, voi non siete ricco, e avete figli; non vogliate andar incontro alla vostra perdita, nè mi astringete a procurarla. — Egli insiste. Il Bettinelli, cui forse troppo di leggieri avevo acconsentito di concedere la privativa della stampa delle mie opere, era certamente stato subornato con danaro, onde in tal condizione mi trovavo costretto a combatter contro il direttore, dal quale era contrastata la proprietà delle mie composizioni e nel tempo stesso contro il libraio, già al possesso della facoltà di pubblicarle. Avrei vinto senz’alcun dubbio la causa, ma bisognava litigare; e il litigare è lo stesso per tutto; in questo caso presi la soluzione più sbrigativa. Nel momento stesso me n’andai a Firenze, e quivi diedi principio ad una nuova edizione, lasciando il Medebac e il Bettinelli nella libertà di farne un’altra a Venezia; pubblicai però un prospetto, che mise entrambi in costernazione, giacchè facevo con esso la promessa di parecchie correzioni e cangiamenti. In Firenze venni indirizzato al signor Peperini, stampatore accreditatissimo ed onoratissimo; in due ore di tempo restarono fissate tutte le nostre convenzioni, e in questa guisa nel maggio del 1753 andò sotto il torchio in Firenze il primo volume delle mie opere. Questa fortunata edizione di dieci volumi in ottavo, fatta per associazione e a tutte mie spese, fu condotta fino al numero di mille settecento esemplari, e restò completa con la pubblicazione del sesto volume. Cinquecento erano gli associati di Venezia, quantunque se ne fosse perfino proibita l’introduzione negli Stati della Repubblica. Questa proscrizione delle mie opere dalla mia patria comparirà, per vero dire, singolare, ma in sostanza altro non era se non se un affare di commercio, poichè il Bettinelli aveva trovato protezioni ad oggetto di far valere il suo privilegio esclusivo, e dava ad esso mano anche il corpo dei librai, per la ragione che si trattava di un’edizione forestiera. Frattanto, malgrado questa proibizione e le cautele de’ miei nemici, tutte le volte che esciva dal torchio uno de’ miei volumi, partivano cinquecento copie per Venezia. Si era trovato sulle rive del Po un asilo per depositarvele. Una compagnia di nobili veneziani andava a prendere il contrabbando ai confini, lo introduceva nella capitale, e ne faceva a vista di tutti la distribuzione, nulla mescolandosi il governo in questo affare, che riguardava già più come ridicolo che importante. Stando io a Firenze e i miei nuovi comici a Livorno, andavo di tempo in tempo a trovarli, anzi consegnai in mano del primo amoroso due commedie fatte malgrado le laboriose ed assidue cure della mia