ora è arrivato il Goldoni. — Per me è lo stesso, dice uno. — Che importa a noi? risponde l’altro. — Il terzo però con maggior convenienza: Se così è, riprende, lo vedrò con piacere. — Oh! oh! che bella cosa da vedersi, replicano tosto i primi due. — Questi, soggiunge l’altro, è pur l’autore di quelle belle commedie... — Viene ad un tratto interrotto un tal discorso da una persona, che non aveva in quel mentre mai parlato, e che grida ad alta voce: Certo, certo, il Goldoni è un grande autore, un autor sublime, che ha soppresso le maschere, e rovinato l’arte comica... — In questo medesimo istante appunto giunge il dottor Fiume, che dice, venendo di slancio ad abbracciarmi: Benvenuto, benvenuto, il mio caro Goldoni! — A questo dire la persona che aveva manifestato la voglia di conoscermi, mi si accosta, e gli altri sfilan via l’uno dopo l’altro senza proferir parola. Questa scenetta mi divertì moltissimo; frattanto rividi con piacere il dottor Fiume, che, pochi anni avanti, fu mio medico, usai garbatezze al gentile bolognese, che aveva avuto un poco più di buona opinione di me, e tutti insieme andammo a casa del senator di Bologna, il marchese Albergati Capacelli. Questo signore, conosciutissimo nella repubblica delle lettere per la traduzione di parecchie tragedie francesi, come pure per varie buone commedie di suo particolar gusto, e molto più poi per la somma stima che ne faceva di esse il signor Voltaire, aveva, oltre il sapere e il suo bel genio, le prerogative più felici per l’arte della declamazione teatrale, potendosi dire, che non vi fosse in Italia comico, o dilettante, capace di sostenere al pari di lui le parti eroiche nella tragedia, e quelle di amoroso nella commedia. Era, insomma, la delizia del suo paese, ed ora a Zola ora a Medicina, sue terre, era seguitato da attori ed attrici della sua conversazione, ai quali con la sua intelligenza e pratica inspirava animo egli stesso. Ebbi adunque la fortuna di contribuire ai piaceri di lui, componendo cinque commedie per il suo teatro, delle quali sarà da me reso conto al termine di questa seconda parte. Il signor Albergati ebbe sempre molta bontà ed amicizia per me; infatti alloggiavo in sua casa ogni volta che andavo a Bologna, nè si è mai di me scordato, anche nel tempo dell’attuale nostra lontananza, avendomi perfino diretto ultimamente una delle sue commedie, preceduta da una graziosa lettera, per me onorevolissima. Nel mio soggiorno di Bologna non perdetti tempo, poichè lavorai per il mio teatro, e composi una commedia intitolata I bisticci domestici, con la quale fu aperto in Venezia l’anno comico 1752. In questa commedia compariscono persone di qualità. Vi è una vedova con due figli, unitamente al cognato, capo della famiglia. Questi soggetti hanno tutti buon senno, si amano a vicenda, e sembrano propriamente fatti per godere la più dolce tranquillità; ma la gente di casa, per il solito contenziosa, e sempre in dissensione, procura di far prendere parte ai padroni nelle contese domestiche; per il che comincia sugli uni e gli altri a prender possesso la discordia, e s’inoltra il disordine a segno, che si arriva di lì a poco a parlare di separazione. Vi è poi un curiale che tormenta, consigliando sempre a litigare. In tale stato di cose s’adopera per la loro pace un comune amico, il quale per primo articolo di conciliazione propone di metter fuori i servitori. Questo punto incontra molte difficoltà, poichè ogni padrone vorrebbe tenere il suo, ma al finir dei conti questo è l’unico espediente per ristabilir la pace. In somma si rinnova la famiglia, così cessano tutte le differenze ed i padroni si riconciliano senza difficoltà. La sostanza di questa commedia era stata messa insieme