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capitolo ix 169


dramma; ma il pubblico la trovò dilettevole, ed essa riportò la palma sopra tutte le mie opere fino a quel tempo rappresentate.

Dopo una commedia di sentimento, ne feci immediatamente succedere un’altra relativa agli usi della società civile, intitolata: Il Cavalier di buon gusto, titolo che si poteva tradurre in francese L’Homme de goût. È vero che questo titolo darebbe in Francia la idea di un uomo istruito nelle belle arti, laddove l’italiano di buon gusto o come lo dipinge la mia commedia, è un uomo di mediocre fortuna che trova il mezzo di avere una deliziosa casa, servitù scelta, un eccellente cuoco, e comparisce nella società qual uomo ricchissimo, senza però far torto ad alcuno, e senza dissestare i propri affari. Non mancano curiosi che vorrebbero indovinare il suo segreto; vi sono anche maldicenti che osano denigrare la sua reputazione: e questi sono nel numero di quelli che più frequentano la tavola di lui, e continuamente profittano della sua generosità. Il conte Ottavio protagonista, è un uomo di una certa età, molto allegro, molto piacevole, e che scherza sempre col bel sesso senza voglia o timore di contrarre impegni. Amministra le sostanze di un suo nipote, la madre del quale non ama troppo il cognato. Essa incute diffidenza nell’animo di suo figlio a riguardo dello zio. Il conte se ne accorge, ride, e per togliere affatto di speranza la vedova di suo fratello, le fa credere che è per ammogliarsi quanto prima in pregiudizio del suo erede. Getta su tal proposito qualche lontana ed ambigua proposizione, ma tutte le volte che si tratta di manifestare l’oggetto del suo cuore, presenta per sua bella Pantalone, mostrando un suo trattato di commercio con questo negoziante, dal qual traffico ricava capitali sufficienti per sostenere la vita elegante che gode. Le scene che direttamente riguardano il Cavalier di buon gusto sono piacevolissime; istruisce, per esempio, il suo segretario, corregge il bibliotecario, addestra il suo nuovo maestro di casa e licenzia i servitori cattivi e ricompensa i buoni. Queste son piccole lezioni che giovano senza annoiare. Questa commedia, benchè riuscisse molto bene, ebbe però la disgrazia di succedere a Pamela che aveva fatto delirar tutti; riportò infatti un più felice incontro nella sua replica l’anno dopo. L’istesso accadde a quella del Giuocatore, nona commedia del mio impegno, che non essendo mai potuta risorgere come la sua antecedente, la giudicai, standomene al pubblico, commedia andata a terra senza riparo. Avevo inserita con molta felicità anche nella commedia del Caffè, terza commedia di quell’anno, una parte da giuocatore, che fu sostenuta a viso scoperto dal nuovo Pantalone nel modo più piacevole; ma, essendo di parere di non aver detto abbastanza sopra questa disgraziata passione, mi proposi di trattar questa materia a fondo: nonostante, il giuocatore episodico del Caffè prevalse a quello che nell’altra commedia era il soggetto principale. Bisogna però aggiungere che in quel tempo eran tollerati in Venezia tutti i giuochi d’azzardo, ed era in voga il famoso ridotto, che arricchiva questi, e rovinava quelli, ma richiamava giuocatori dalle quattro parti del mondo e faceva girare molto danaro. Sarebbe stato perciò inopportuno mettere allo scoperto le conseguenze di questo pericoloso divertimento, e molto più la mala fede di certi giuocatori unitamente agli artifizi dei mezzani di giuoco; onde in una città di dugento mila anime la mia commedia non poteva far sì che non avesse molti nemici. Tutto in un tempo la Repubblica di Venezia proibisce i giuochi d’azzardo e sopprime il Ridotto. Vi saranno forse dei particolari, che si lamenteranno di