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168 parte seconda


giorno a trovarlo, e ben si avvede dell’interno rammarico di lui; procura di sollevarlo e gli propone nel tempo stesso tre differenti partiti per ammogliarsi; Bonfil non ne trova alcuno di suo genio. Segue tra questi due amici una scena che è una specie di discussione sopra la scelta della moglie, sulla libertà inglese, e sugli inconvenienti delle unioni ineguali relativamente alla successione. Quest’ultimo articolo fa sensazione sull’animo di Bonfil, e ne è vivamente colpito; ma non sa determinarsi a rinunziare a Pamela. Essa aveva scritto a suo padre, e lo avea informato del suo impaccio, de’ suoi timori. Giunge egli intanto, si presenta a milord, gli chiede la figlia, e milord ricusa renderla. Andreuve (così chiamasi il vecchio) domanda seriamente a milord, quali mire abbia sopra di lei. Milord confessa allora la sua passione, ama Pamela, e si reputerebbe felice se potesse farla sua moglie; non l’interesse pertanto, ma la sua condizione e la sua nascita glie ne impedisce il contento. Il vecchio, commmosso dai sentimenti di milord, veduto il momento di far la felicità di sua figlia, gli confida il suo più gran segreto. Andreuve non è il suo nome; egli è il conte d’Auspingh scozzese, che nelle rivoluzioni di quel regno fu annoverato tra i ribelli della corona britannica, e si salvò sulle montagne d’Inghilterra, comprando, col danaro restatogli, terreno bastante per lavorare e sussistere. Egli dà prove del suo antico stato, e cita testimoni tuttora viventi che ben lo possono riconoscere. Milord esamina le carte, vede i testimoni, sollecita la grazia per l’uomo proscritto, l’ottiene senza difficoltà, e sposa Pamela: ecco la virtù ricompensata, ecco salva la convenienza. Il più singolare di questa commedia però si è, che dopo tale riconoscimento in cui dovrebbe appunto aver termine l’azione, secondo le regole dell’arte, vi sono anzi alcune scene, le quali, invece di annoiare, divertono quanto le precedenti e forse anche più.

Pamela ignora tutto quello che è seguito fra Bonfil e suo padre: non riconosce il suo nuovo stato, ed è pronta a lasciare l’amante: questi si diverte a tormentarla; dice che è per ammogliarsi, che è per isposare la contessa d’Auspingh, e ne fa egli stesso l’elogio. Pamela è in angustie: in questo tempo giunge il padre di lei e la anima ad abbracciare milord; ma essa nulla comprende: si cerca di porla al fatto di tutto, ed essa non crede; la saluta Jevre col nome di padrona, e miledi Dauvre viene a farle il suo complimento; insomma Pamela è assicurata della sua felicità: sempre però modesta e riconoscente, varia condizione, ma non varia carattere. Non ho fin qui fatto menzione di un personaggio che infinitamente ravviva il serio della commedia. Il cavalier Hernold, nipote di miledi Dauvre, giovine inglese che aveva fatto di fresco il giro di Europa, porta seco per mancanza di principii e di cognizioni tutte le ridicolezze de’ paesi che ha percorsi. Va in casa di Bonfil, lo trova a prendere il tè in compagnia; comincia a parlare della vivacità francese e si burla del serio de’ suoi compatriotti; gli si esibisce del tè ed egli lo ricusa, vantando la cioccolata di Spagna ed il caffè di Venezia; non farebbe altro che ciarlare, tien discorso della galanteria di Parigi, dei divertimenti d’Italia, e loda molto gli arlecchini, trovando le arlecchinate piene di grazia. Tutti quelli della conversazione si annoiano e se ne vanno. Ecco, dice allora a Bonfil il cavaliere, ecco persone che non hanno viaggiato. — Se voi, o signore, aveste fatto precedere ai viaggi, risponde Bonfil, lo studio e le cognizioni, non avreste certamente limitate le vostre osservazioni alla sola galanteria francese, ed alle arlecchinate italiane — La Pamela, secondo la definizione dei Francesi, è piuttosto un