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capitolo iii | 15 |
io pure di tal volere: essendo in voga i Gesuiti, mi propose ai medesimi, e vi fui ricevuto senza difficoltà. Le classi di belle lettere in Italia, non sono distribuite come in Francia. Non ve ne sono che tre: grammatica inferiore, grammatica superiore, altrimenti detta umanità, e rettorica. Quelli che profittano, ed impiegano bene il tempo, possono terminare il loro corso nello spazio di tre anni.
A Venezia avevo fatto il mio primo anno di grammatica inferiore, e avrei perciò potuto entrare nella superiore; ma il tempo ch’avevo perduto, la distrazione del viaggio, i nuovi maestri ch’ero per avere, tutto persuase mio padre a farmi ricominciare, e fece benissimo; poichè voi vedrete, mio caro lettore, come questo grammatico veneziano, il quale non mancava di vantarsi di aver composto un’opera, si trovò rimpicciolito in un istante.
L’anno letterario era inoltrato, e fui ricevuto nella classe inferiore come uno scolare già formato ed istruito per la superiore. Mi fecero alcune interrogazioni, risposi male; mi fecero spiegare, io balbettava; mi si fece fare il latino, un mare di solecismi e modi barbari. Fui deriso, ed ero divenuto lo scherno de’ miei compagni: si divertivano essi a sfidarmi, tutte le mie battaglie erano perdite; mio padre era in disperazione; ed io era mortificato, sbalordito, e mi credei ammaliato.
Si avvicinava il tempo delle vacanze; si doveva fare l’esperimento della propria capacità, il che si chiama in Italia Latino del passaggio, poichè questo piccolo lavoro deve decidere del merito degli scolari per farli salire ad un’altra classe, o per farli rimanere nella medesima. Tale era al più la sorte che io doveva augurarmi.
Arriva il dato giorno; il reggente detta, gli scolari scrivono, ognuno fa meglio che può. Riunisco tutte le mie forze; mi rappresento al pensiero il mio onore, la mia ambizione, il mio genitore, mia madre. Vedo che i miei vicini mi guardano con la coda dell’occhio e ridono: facit indignatio versum. La rabbia e la vergogna mi accendono: leggo il mio tema, sento fresca la mia testa, leggiera la mano, feconda la memoria: termino prima degli altri, sigillo il mio foglio, lo porto al reggente, e parto contento di me.
Otto giorni dopo si chiama e si aduna la scolaresca; si pubblica la decisione del collegio. Prima nomina: Goldoni nella classe superiore. Ecco un frastuono universale nella medesima, e si tengono degli indecenti discorsi. Si legge ad alta voce la mia traduzione; neppure uno sbaglio di ortografia: mi chiama il reggente alla cattedra, e mentre mi alzo per andarvi, vedo mio padre alla porta, e corro ad abbracciarlo.
CAPITOLO III.
- Continuazione del Capitolo precedente. — Nuovo divertimento comico. — Arrivo di mia madre a Perugia.
Il Padre reggente volle parlarmi in particolare, e mi usò espressioni gentilissime. Mi disse che malgrado i grossi errori, che facevo di tempo in tempo nelle consuete mie lezioni, aveva scorto in me un certo ingegno ed alcuni tratti di aggiustatezza, che incontrava ora qua ora là ne’ miei temi e nelle mie versioni. Aggiunse, che quest’ultimo saggio lo aveva convinto che io mi era tenuto nascosto per malizia, e scherzò sopra l’accortezza dei Veneziani. Mi fate troppo onore, mio reverendo Padre, gli dissi; troppo ho sof-