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capitolo vi | 159 |
di panimbruo il suo padrone, nè si risparmiava verun altro forestiero; ond’ero sicuro che le mie osservazioni non potevano fare andare a vuoto lo scopo propostomi. Dopo aver così sostenuto l’interesse della società civile, passai a trattare la mia causa, provando l’ingiustizia che mi si faceva soffrire, ribattendo con brave ragioni le critiche fattemi, e rispondendo alle impertinenti satire con osservazioni onestissime. Messa in ordine la mia apologia, non andai già a presentarla al governo per evitare così tutti i contrasti delle giurisdizioni e protezioni, ma mandai addirittura alle stampe il mio libretto indirizzando solamente al pubblico i miei lamenti. Non era possibile che tenessi celata la mia idea, onde si riseppe, si temè, e si fece il possibile per impedirne l’esecuzione.
Il protettore di Medebac era un soggetto del primo ordine della nobiltà e nelle prime cariche di Stato, il quale avrebbe dovuto favorirmi: ma egli temeva, all’opposto, che la mia temerità non cagionasse la mia perdita non meno che quella del suo protetto; onde mi fece l’onore di venire a trovarmi, mi consigliò a ritirare subito il prologo; e vedendomi tenace, fecemi la confidenza che correvo rischio di dispiacere al tribunal supremo che ha la presidenza della gran polizia dello Stato. Ero così fermo nella mia risoluzione che nulla poteva rimuovermi; risposi pertanto colla massima franchezza a sua eccellenza, che il mio lavoro era già alla stampa, e che lo stampatore doveva esser cognito, onde il governo poteva togliergli il mio manoscritto; ma che per altro sarei subito partito io medesimo all’oggetto di farlo stampare in qualche paese estero. Questo signore restò veramente stupito della mia fermezza; e siccome già mi conosceva bene, mi usò la grazia di rapportarsi al mio parere; mi prese confidenzialmente per la mano, e mi lasciò padrone della mia volontà. Il giorno seguente compare il mio libretto, di cui aveva fatto tirare tremila esemplari, che senza indugio feci distribuire gratis a tutti i casini di conversazione, alle porte degli spettacoli, ai miei amici, ai miei protettori, e a tutti i miei conoscenti. Ecco il resultato della pena che m’ero data, ed ecco il mio trionfo. Fu soppressa subito la Scuola delle Vedove, e due giorni dopo fu pubblicato un decreto del governo che ordinava la censura delle produzioni teatrali. La mia Vedova scaltra andò dunque avanti con maggiore strepito e concorso di prima; così furono umiliati i nostri nemici, e noi raddoppiammo di zelo e di attività. Se il mio lettore fosse, desideroso di conoscere l’autore della Scuola delle Vedove, non potrei soddisfarlo. Io non nominerò mai quelle persone le quali hanno avuto l’intenzione di farmi del male.
CAPITOLO VI.
- L’Erede fortunata, commedia di tre atti, ed in prosa. — Sua caduta. — Partenza del Pantalone Darbes. — Mio impegno col pubblico.
Eravamo prossimi alla fine del carnevale del 1749, e andavamo avanti a maraviglia con la superiorità su tutti gli altri spettacoli; ma dopo la battaglia da me sostenuta e la riportata vittoria, mi abbisognava un componimento di strepito per coronare il mio anno.
Troppo aveami tenuto occupato la malignità de’ miei nemici perchè io potessi dare esecuzione all’idea di una chiusura magnifica da me sbozzata già da qualche tempo. Non volevo perciò arri-