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capitolo iI 151


dei quattro suoi forestieri. Seria con l’Inglese, capricciosa col Francese, grave e severa con lo Spagnuolo, ed amorosa col Romano: mediante la maschera, la simulazione dei costumi e della voce inganna sì bene i suoi amanti che i primi tre cadono nella rete e preferiscono di sostener la donna del loro paese; il solo conte ricusa i tentativi dell’incognita per non mancare alla fedeltà della sua bella. La vedova allora dà una festa da ballo in casa propria, e fa invitare i quattro forestieri, che non mancano d’intervenirvi. Palesa ad alta voce la prova ch’essa aveva fatta sulla loro sincerità, ed offre la mano al conte, che trovasi al colmo del contento.

Milord approva il di lei modo di agire, il cavaliere domanda il posto di cibisbeo, e lo Spagnuolo, sdegnato dell’astuzia, condanna gl’Italiani e parte; si principia il ballo, e così termina la rappresentazione.

Benchè avessi dato parecchie composizioni di un esito felicissimo, niuna per altro era pervenuta al punto di questa. Fu rappresentata trenta volte di seguito, ed è stata esposta dovunque con l’istessa buona sorte. Il principio adunque della mia riforma non poteva essere più splendido. Tenevo ancora un’altra commedia per il carnevale, ma era necessario che la chiusa del teatro non ismentisse i fortunati successi di quest’anno decisivo; seppi perciò trovar l’opera adattata a coronar le mie fatiche. Avevo veduto al teatro di San Luca una commedia intitolata Le Putte di Castello, commedia popolare, il cui soggetto principale era una Veneziana priva d’intelletto, senza costumi e senza condotta.

Quest’opera comparve avanti la legge della censura degli spettacoli. Tutto era cattivo: caratteri, intreccio, dialogo; tutto pericoloso: frattanto era una commedia secondo il gusto della nazione, divertiva il pubblico, tirava la gente, e si rideva a quelle disdicevoli buffonerie. Ero sì contento di questo pubblico, che incominciava a preferir la commedia alla farsa, e la decenza alla sciocchezza, che per impedire il male che quella rappresentazione poteva produr negli animi ancor vacillanti, ne diedi un’altra dell’istesso genere, ma molto più onesta ed instruttiva, col titolo La Putta onorata, la quale potea dirsi appunto il contravveleno delle Ragazze del quartier del Castello. L’eroina della mia commedia era di condizione volgare, ma per i suoi costumi e per la sua condotta, piaceva ad ogni ceto di persone, non meno che a tutti i cuori onesti e sensibili. Bettina, orfana, sostentandosi col lavoro delle proprie mani, è forzata a convivere in compagnia della sorella e di Arlecchino suo cognato, ambedue pessimi soggetti. Bettina è savia senz’essere ritrosa o bigotta, ed ha un amante che spera di potere un giorno sposare; questi è Pasqualino, che passa per figlio di un gondoliere veneziano, giovine di una condotta regolare, ma privo d’impiego e di fortuna. La ragazza che molto lo ama, non gli permette di andare a trovarla in casa, nè lo vede, nè gli parla che dalla sua finestra; ma la sorella, dolente di veder questo giovine passeggiare per istrada, lo fa qualche volta entrare. Bettina va sempre a chiudersi in camera, temendo i pericoli dell’amore, e le ciarle dei vicini. Pantalone negoziante veneziano conosceva bene questa fanciulla, la stimava molto e le dava di tempo in tempo qualche aiuto, avendole perfin promesso di maritarla; ma confidando essa al medesimo la sua inclinazione, egli non va d’accordo che sposi un uomo senza stato e senza fortuna. Il marchese di Ripaverde vede Bettina, se ne innamora, e fa tentativi per sedurla, la sorella ed il cognato sono del partito di lui, ma non è possi-