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150 | parte seconda |
tale suggerimento, e il Medebae gli addestrò. I nuovi comici fecero progressi molto rapidi, e giunsero in pochissimo tempo a far fronte colla loro bravura alle più vecchie e più accreditate compagnie d’Italia.
Ora meritava codesta compagnia, ch’era divenuta buona ed erasi diportata sempre con onoratezza, il rimprovero della sua prima professione? Si scopriva in ciò chiaramente una pretta malignità, e tutto dipendeva dalla gelosia de’ suoi rivali, e degli altri spettacoli di Venezia che cominciavano a temerla; e siccome conoscevan bene di non poterla distruggere, avean la bassezza di disprezzarla. Allorquando vidi in Livorno questi comici la prima volta, presi una parziale affezione per essi, per i loro meriti, per la loro condotta, e procurai dal canto mio di portarli con le mie premure e fatiche a quel grado di considerazione, di cui sono stati poi meritevoli dovunque. Aveano un bel dire e un bel fare i nemici del Medebac: i comici andavano ogni giorno più prendendo piede, e la rappresentazione di cui son ora per render conto, stabilì affatto il loro credito e li mise in istato di goder con sicurezza una perfetta tranquillità.
Il carnevale del 1748 fu aperto con La Vedova scaltra. Questa vedova veneziana, stata per qualche tempo astante al suo vecchio ed infermo marito possessore di una fortuna considerevole, aspirava a indennizzare i perduti giorni col mezzo di un matrimonio più conveniente. Fece ad una festa da ballo conoscenza con quattro forestieri: Milord Ronebif inglese, il cavaliere le Bleau francese, don Alvaro di Castiglia spagnuolo, ed il conte di Bosco-nero italiano. I quattro viaggiatori, colpiti dalla bellezza e dall’ingegno della vedovella, le fanno la loro corte, procurando ciascuno dal canto suo di meritar la preferenza sopra gli altri rivali. Milord le manda un bel diamante, il cavaliere le dà un bel ritratto, lo Spagnuolo l’albero genealogico della sua famiglia, e il conte italiano le dirige una lettera molto tenera, nella quale parecchi tratti di gelosia manifestano il carattere della sua nazione. La vedova fa le sue riflessioni sopra rincontro di questi suoi nuovi adoratori; trova l’Inglese generoso, il Francese galante, lo Spagnuolo rispettabile, e l’Italiano amoroso. Palesa qualche inclinazione per quest’ultimo, ma la cameriera, francese di nazione, si fa avanti alla sua padrona, e le prova che non poteva esser felice, che sposando un francese. Rosaura (questo è il nome della vedova) prende tempo a risolvere. Il primo e secondo atto passano in visite, tentativi, rivalità essendo sempre in contrasto i caratteri delle respettive nazioni; da tutto ciò ne risulta un complesso comico molto vario, molto decente. Debbo rimproverarmi solamente di aver dato un poco troppo di caricatura alla parte del cavaliere, ma non ci ho colpa: avevo veduti a Firenze, Livorno, Milano e Venezia parecchi Francesi, onde incontrati gli originali ne avevo fatto la copia.
Giunto poi a Parigi, ho conosciuto il mio errore, poichè non ci ho mai vedute quelle figure ridicole da me trovate in Italia: onde o la maniera di pensare, e di essere, hanno da venticinque anni a questa parte mutata in Francia affatto indole, o i Francesi nei paesi stranieri hanno piacere di far torto a sè stessi. L’ultim’atto di questa commedia è il più importante ed il più vivace. La vedova, a cui con tutta ragione diedi l’epiteto di scaltra, vuole assicurarsi sempre più dell’attaccamento e della sincerità de’ suoi quattro pretendenti: profitta perciò del carnevale di Venezia, e mascherandosi in quattro diverse forme, fa una volta dopo l’altra da compatriotta