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148 | parte seconda |
prudente occulta il corpo del delitto, facendosi egli stesso difensore delle accuse date: mancano prove. La pignatta avvelenata più non esiste. Un’altra cagna, viva, sana, e simile a quella rimasta morta illude il fatto, ed una energica e patetica perorazione del padre e marito, convince, e muove il giudice. Ecco assoluti gli accusati: il tenero affetto di Pantalone guadagna il cuore de’ suoi nemici, e la prudenza di lui salva l’onore della famiglia.
Questa commedia era stata da me composta quando ero occupato in Pisa a difender cause criminali. La favola non era inventata di pianta. Un tale orribile delitto fu commesso in un paese della Toscana, ed io aveva anche caro di far conoscere a’ miei compatriotti, quali erano state le mie occupazioni in cinque anni d’assenza. Questa commedia ebbe in Venezia un completo successo. Il veleno, la perorazione in criminale, e certi tratti, di cui era piena, non potevan dirsi, per verità, proprii della buona commedia; ma per il Pantalone nulla si poteva desiderare di più, per aver la comodità di far valere la superiorità del suo ingegno nei differenti chiaroscuri che doveva esprimere; nè altro appunto ci volle per farlo generalmente proclamare l’attore più perfetto che fosse allora sul teatro. Perchè meglio stabilisse però la sua riputazione, bisognava fargli fare una bella figura anche a viso scoperto. Questa era la mia idea, e questo era il mio scopo principale. Nel tempo dunque che il Darbes godeva gli applausi per la rappresentazione dell’Uomo prudente, io ne lavoravo per lui un’altra intitolata: I due gemelli veneziani. Avevo intanto avuto tempo e comodo bastante per esaminare i diversi caratteri de’ miei attori. Nel Darbes conobbi due pregi opposti ed abituali nella macchina, nella figura e nell’azione. Ora era l’uomo più allegro e vivace del mondo, ora prendeva l’aria, i tratti e i discorsi d’un inetto, di un balordo; queste variazioni poi succedevano in lui senza pensarvi, e con la maggior naturalezza. Una scoperta di tal sorte mi risvegliò l’idea di farlo comparire sotto questi differenti aspetti in una rappresentazione medesima. Il primo dei due fratelli chiamato Tonino era stato mandato da suo padre a Venezia, e l’altro detto Zannetto a Bergamo in casa di uno zio. Il primo era allegro, elegante e piacevole, l’altro grossolano e senza garbo.
Doveva quest’ultimo sposar Rosaura, figlia d’un negoziante veronese, onde partì per andare ad unirsi colla futura sua sposa; l’altro teneva appunto dietro alla sua bella nell’istessa città: ecco come i due gemelli vengono ad incontrarsi senza saperlo. La somiglianza non poteva essere più perfetta, poichè ambedue le parti eran recitate da un solo attore; i nomi però eran differenti, onde l’intreccio per l’attore doveva esser più difficile, e per lo spettatore più dilettevole. Vi è poi in questa commedia un personaggio episodico che somministra molta parte, che prepara accidenti, e compie la catastrofe. È questi un impostore chiamato Pancrazio, che, essendo l’amico del suocero futuro di Zannetto, aspira a guadagnare il cuore e la mano di Rosaura, nascondendosi sotto il velo dell’ipocrisia. Quest’uomo astuto si fa padrone dell’animo del semplice bergamasco con fargli credere che non vi è al mondo nulla di più pericoloso delle donne. Zannetto, che a motivo della sua imbecillità non può vantarsi di ottenere i favori del sesso, trova che Pancrazio ha ragione; ma la carne lo tormenta, onde il malvagio amico gli dà una polvere per difendersi dagli stimoli. Il povero diavolo la trangugia, e s’avvelena. Eccoci ad un nuovo veleno. Veramente feci male ad usarlo in due commedie consecutive, molto