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140 parte prima


— Nell’atto appunto, che son per fargli i miei complimenti di congratulazione, egli si mette in una tal positura comica che mi fa ridere e m’impedisce di andare avanti. — Non crediate, o signore, egli proseguì, che per vanagloria io vi abbia esagerato i vantaggi di cui godo nella mia professione: ma son comico, mi fo conoscere ad un autore, ed ho bisogno di lui. — Voi avete bisogno di me? — Sì, signore, anzi vengo al solo oggetto di chiedervi una commedia: ho promesso a’ miei compagni una commedia del signor Goldoni, e voglio mantenere a loro la parola. — Voi dunque volete, gli dissi sorridendo, una mia produzione? — Sì, vi conosco per fama; so che siete garbato quanto abile, non mi darete una negativa. — Ho molte occupazioni, non posso farlo. — Rispetto le vostre occupazioni; farete questa composizione quando vorrete a tutto vostro comodo. —

Nel tempo che andavamo chiacchierando in tal guisa, tira a sè la mia scatola, prende una presa di tabacco, vi insinua alcuni ducati d’oro, poi la chiude, e la rimette sulla tavola con uno di quei lazzi, che sembrano nascondere ciò che appunto sì ha caro di far palese: apro allora la scatola, nè voglio aderire alla celia. — Eh via... via, egli disse, non vi dispiaccia; questo è un piccolo acconto per la carta. — Insisto per restituire il danaro; molti gesti, molti atti, molte riverenze: si alza, retrocede, prende la porta e se ne va. Che mai avrei dovuto fare in tal caso? Presi, come a me pare, l’espediente migliore. Scrissi al Darbes, che poteva star sicuro della commedia richiestami, e lo pregai di dirmi se gli piaceva meglio di averla con Pantalone in maschera o a viso scoperto. Il Darbes non tardò un momento a rispondermi. In questa lettera di risposta non potevano esservi positure ridicole, scontorcimenti di persona ma vi erano tratti singolarissimi.

«Avrò dunque (ei diceva) una commedia del Goldoni? Questa, sì questa sarà la lancia e lo scudo, di cui armato andrò a sfidare i teatri tutti del mondo... Quanto sono adesso felice! ho scommesso cento ducati col direttore, che avrei avuto un’opera del Goldoni; se vinco la scommessa, il direttore paga, e la rappresentazione resta a me... Benchè ancora giovine, benchè non abbastanza noto, andrò a sfidare i Pantaloni di Venezia, il Rubini a San Luca, e il Curini a San Samuele. Attaccherò il Ferramonti a Bologna, il Pasini a Milano, il Bellotti, detto Tiziani, in Toscana, il Golinetti nella sua solitudine, il Garelli nella tomba». Terminava poi con dirmi, che desiderava una parte da giovane senza maschera, indicandomi per modello un’antica commedia dell’arte, intitolata: Pantalone paroncino. Questo termine di paroncino, tanto per la traduzione letterale, quanto per il carattere del soggetto, corrisponde esattamente alla parola francese petit-maitre, poichè paron nel dialetto veneziano esprime la medesima cosa che padrone in toscano, e maitre in francese, onde paroncino è il diminutivo di parone, e padrone, come petit-maitre è il diminutivo di maitre. A’ miei tempi i paroncini veneziani recitavano in Venezia la medesima parte, che i petits-maitres in Parigi; ma tutto varia. Ora in Francia non ve ne son più, e forse neanche in Italia. Feci dunque pel Darbes la commedia richiestami sotto il titolo di Tonin bella grazia, che si poteva tradurre in francese: Toinet le gentil. Ultimai questa composizione in tre settimane, e la portai io stesso a Livorno, città che molto conoscevo, distante da Pisa quattro sole leghe e dove avevo amici, clienti, corrispondenti. Il Darbes, che aveva già strombazzato il mio arrivo, venne subito a trovarmi al-