mente arrivammo al bel paese, cui è dovuto il rinascimento delle lettere. Non mi estenderò pertanto sulla bellezza e sulle delizie della città di Firenze. Tutti gli scrittori, tutti i viaggiatori le rendono giustizia. Belle strade, palazzi magnifici, giardini deliziosi, passeggate amenissime, molte conversazioni, molta letteratura, molte rarità, le arti in credito, stimati gli ingegni, sommamente coltivata l’arte agraria, eccellenti le produzioni della terra, favorito il commercio, un ricco fiume che attraversa la città, un porto di mare considerabilissimo nelle sue dipendenze, begli uomini, belle donne, buon umore, spirito, forestieri di ogni nazione, divertimenti di ogni sorta... È un paese da incantare. Quattro mesi mi trattenni con gran piacere in questa città, e feci conoscenze ragguardevolissime: quella del senatore Rucellai auditore della giurisdizione; del dottor Cocchi medico sistematico e piacevole filosofo; dell’abate Gori, antiquario dottissimo ed eruditissimo nella lingua etrusca; e quella dell’abate Lami, autore di un giornale letterario, la miglior opera, che si sia fin qui veduta in Italia in questo genere. La mia idea era di passar l’estate in Firenze e l’autunno in Siena; ma la voglia che avevo di conoscere di persona e sentire il cavalier Perfetti, mi determinò a partire ne’ primi giorni di agosto. Era il Perfetti uno di quei poeti che fanno composizioni in versi all’improvviso, e che solamente s’incontrano in Italia; ma talmente ad ogni altro superiore, e tanto sapere ed eleganza aggiungeva alla facilità della sua versificazione, che meritò di essere coronato a Roma nel Campidoglio, onore che a verun altro è stato conferito dopo il Petrarca. Questo uomo celebre, molto avanzato in età, raramente vedevasi nelle conversazioni e molto meno in pubblico. Mi fu detto, che doveva comparire il giorno dell’Assunzione alla accademia degli Intronati di Siena. Subito partii con la mia fida compagna. Fummo ammessi, e ci fu dato posto nell’accademia, come forestieri. Il Perfetti era a sedere in una specie di cattedra. Uno degli accademici gli diresse il discorso, e siccome non poteva svincolarsi dal soggetto della solennità che correva, ed in considerazione della quale appunto si era adunata l’accademia, gli propose per argomento il giubilo degli Angioli al presentarsi del corpo immacolato della Vergine. Il poeta cantò per un quarto d’ora parecchie strofe alla maniera di Pindaro: nulla di più bello, nulla di più maraviglioso: era il Perfetti un Petrarca, un Milton, un Rousseau, insomma mi compariva Pindaro istesso. — Avevo veramente caro di averlo sentito. Andai a fargli visita il giorno dopo, e la sua conoscenza me ne fece fare mille altre: trovai le conversazioni di Siena graziosissime. Tutte le partite di giuoco son precedute da una conversazione letteraria; ciascuno legge la sua composizioncella, o quella di un altro, mescolandosi in ciò le signore nello stesso modo che gli uomini. Così almeno si faceva a mio tempo; ora poi non so se la galanteria vi abbia ottenuta la preferenza esclusiva, come vedesi essere accaduto in tutto il resto d’Italia. Desideroso di percorrere la Toscana, presi, partendo da Siena, la strada di quel paese paludoso che si chiama le Maremme, terreno vastissimo ed inutile, messo in gran parte a cultura mercè delle cure del marchese Ginori di Firenze, che vi aveva anche stabilito una manifattura di porcellane, e salii alla città di Volterra, una delle antiche repubbliche di Toscana, fabbricata sulla cima di una montagna altissima e scoscesa. Questo paese, che pochi viaggiatori vanno a vedere, è degna di considerazione pel sito e per le vestigia che ancora vi si trovano dei monumenti degli Etruschi e del paganesimo, loro religione. Entrai carponi nelle catacombe, le