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128 parte prima


vamo già fatte tre, allorquando sopraggiunse a mia moglie un urgente disogno di scendere. Fo fermare; smontiamo, e facciamo un poco di strada a piedi per arrivare a qualche diroccato tugurio; lo scellerato che ci conduceva volta indietro i cavalli, prende il galoppo verso Pesaro, e ci pianta là in mezzo alla strada maestra, senza modo e senza speranza di provvedere al nostro caso. Non si vedeva passar per quel luogo anima vivente. Nessun abitante per le case; neppure un contadino nei campi; tutti temevano ravvicinamento dei due eserciti. Ecco mia moglie in pianto: io alzo gli occhi al cielo, e mi sento inspirato. — Coraggio, allora dissi, mia cara amica, coraggio: di qui alla Cattolica ci mancano sei sole miglia, siamo molto giovani, e siamo molto ben costituiti per sostenerle: non convien retrocedere; nè convien aver nulla da rimproverarsi. Essa aderisce alla proposta con la maggior grazia del mondo, onde continuammo a piedi l’intrapreso viaggio. In capo a un’ora di cammino, incontrammo un ruscello troppo largo per saltarlo, e profondo troppo perchè mia moglie lo potesse guadare; si vedeva, è vero, un piccolo ponte di legno per comodo dei pedoni, ma le tavole eran rotte e marcite. Non mi perdo d’animo; m’inginocchio, e mia moglie avviticchia le sue braccia la mio collo; mi alzo ridendo, attraverso il fiume con un’allegrezza indicibile, e dico a me stesso omnia bona mea mecum porto. Avevamo bagnati i piedi e le gambe; pazienza. Noi andiamo avanti, quand’ecco di lì a poco un altro ruscello simile al primo. L’istesso fondo, l’istesso ponte fracassato. Ma senza la minima difficoltà lo passammo nell’istesso modo, e sempre coll’istesso buon umore. L’affare però variò molto, allorquando, avvicinandoci alla Cattolica, c’incontrammo in un torrente molto più esteso, che con grand’impeto menava le sue acque; ci ponemmo pertanto a sedere a piè d’un albero, aspettando che la provvidenza ci presentasse un mezzo per traversarlo senza pericolo. Non si vedean passare nè vetture, nè cavalli, nè carrette, nè v’era in quei contorni neppure un’osteria; affaticati, e scorsa la giornata senza prendere il minimo cibo, avevamo bisogno di rifocillarci. M’alzo, e procuro d’orientarmi. Questo torrente, io dissi, deve necessariamente scaricarsi nel mare. Seguitiamo i suoi argini, ne troveremo l’imboccatura. Camminando sempre oppressi dalla costernazione, e sostenuti dalla speranza, scoprimmo da lungi alcune vele che c’indicavano la vicinanza del mare; prendemmo coraggio e raddoppiammo il passo. A proporzione che ci avanzavamo, vedevamo divenir praticabile il torrente, e tostochè distintamente scoprimmo un battello, si diè in salti ed in grida di gioia. Erano pescatori, che ci ricevettero umanissimamente, che ci trasportarono alla riva opposta, e ci ringraziarono mille volte per un paolo che loro io diedi.

Dopo questa prima consolazione, ne avvenne una seconda che non fu meno piacevole, e necessaria: una frasca attaccata ad una rustica abitazione ci annunziò il mezzo di rinfrescarci; vi trovammo latte ed uova fresche. Eccoci contenti. Il riposo e il poco cibo che prendemmo diede a noi bastante forza per compiere il viaggio, onde ci facemmo condurre da un servente dell’albergo al primo posto avanzato degli Usseri austriaci. Presento subito al sargente il mio passaporto. Costui stacca due soldati per scortarci, e traversando grani calpestati, e viti ed alberi a terra, giungemmo finalmente al quartiere del colonnello comandante.

Fummo da principio accolti da questo uffiziale come due persone che viaggiavano a piedi, ma letto il passaporto rimessogli dai due soldati che ci avevan là condotti ci fa sedere, e guardandomi con