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CAPITOLO XLVI.
- Cattivo alloggio. — Nuova spiacevole. — Intrapresa rischiosa. — Tristo avvenimento. — Laborioso viaggio. — Felicità inaspettata.
Tutto nella città di Pesaro era in confusione, dovendo essa ricevere più gente di quello che potesse contenere. Mancava luogo negli alberghi, nè si trovavan camere da appigionare. Il conte di Grosberg era in Fano; tutti gli uffiziali di mia relazione erano occupati, e le persone addette al servizio del duca di Modena non potevano esibirmi altro che la tavola. Uno staffiere modenese, cui era toccata una soffitta, mi cedè, col pagarlo, il suo bell’appartamento. Il giorno dopo lasciai mia moglie nella sua soffitta, ed andai all’imboccatura della Foglia per vedere se vi erano giunte le mie robe. Vi trovai tutti i miei compagni di viaggio, che vi si erano portati per l’istesso oggetto, e che avean passato la notte alloggiati anche peggio di me. Frattanto nessuna barca da Rimini, nessuna notizia delle nostre robe. Ritorno in città. Eravi appunto ritornato anche il conte di Grosberg, che, mosso a compassione de’ miei casi, mi dà alloggio in casa sua: eccomi contento; due ore dopo però ricado in una terribile costernazione. Incontro uno di quei commercianti da me veduti in riva al mare, il quale era tristo ed agitato. — Ebbene, signore, gli dissi, abbiamo noi nulla di nuovo? — Aimè! egli mi rispose, tutto è perduto; gli Usseri austriaci si sono impadroniti della Cattolica: la nostra barca, le nostre robe, i nostri servi sono adesso nelle loro mani. Ecco qui la lettera del mio corrispondente di Rimini che me ne dà parte. — Oh cielo! che cosa dunque farem noi? io ripresi. — Non so altro, risponde; — e mi lascia bruscamente. Resto senza parole. La perdita fatta era per me irreparabile. Mia moglie ed io eravamo benissimo corredati; avevamo tre bauli, due valigie, cassette, fagotti, ed eravamo rimasti senza camicia.
Ai mali grandi abbisognano grandi rimedi. Formo nell’atto il mio disegno; lo credo buono, e vado subito a comunicarlo al mio protettore. Lo trovo avvertito della invasione della Cattolica, e convinto della perdita delle mie robe. — Andrò dunque, io gli dissi, a fare i miei reclami; finalmente non son militare, non ho interesse alcuno con la Spagna, nè altro chiedo che una vettura per me e mia moglie. — Ammira il conte di Grosberg il mio coraggio, e per isbrigarsi forse di me, procura di farmi avere il passaporto dal commissario tedesco; che a tale effetto seguitava le truppe spagnuole, e dà gli ordini occorrenti perchè mi si procurasse una vettura. La posta non aveva corso in quel tempo, e tutti i vetturini si tenevano occulti. Se ne trovò finalmente uno, che fu forzato a condurmi, e fu trattenuto durante la notte nelle scuderie del signor Grosberg, e il giorno dopo si partì di buonissima ora. Non ho fatto parola alcuna della mia sposa dopo tal nuovo avvenimento per non annoiare il lettore. Si può immaginare facilmente qual doveva essere la condizione d’una donna, che perde ad un tratto i suoi cenci. Ma essa era di un fondo di cuore troppo buono e ragionevole; in somma, eccola in viaggio con me. Il vetturino, uomo molto scaltro ed avveduto, venne in cerca di noi senza darci il minimo segno di scontento, onde partimmo dopo una piccola colazione molto allegri ed in pace. Da Pesaro alla Cattolica ci corrono dieci miglia, ne ave-