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capitolo xliv 123


dalle quali constava la commissione di arruolare due mila uomini di nazione illirica per un nuovo reggimento al servizio della potenza dalla quale veniva incaricato. In queste lettere il Raguseo era dichiarato colonnello del nuovo reggimento, con facoltà di nominare a suo arbitrio gli uffiziali, il giudice, i forieri, ed i provvisionierì ecc. Vi era la soscrizione del sovrano, come pure quella del ministro e segretario di Stato del dipartimento di guerra col sigillo della corona.

Non avendo io cognizione bastante di codeste firme straniere, diffidavo sempre di un uomo che vedevo per la prima volta, e aspettando di esser meglio in grado di verificarne l’autenticità, feci alcune interrogazioni al signor capitano, cui non mancò di dare risposte soddisfacenti. Gli domandai subito per qual casualità noi saremmo stati così felici tanto io che mio fratello, da muovere la di lui benevolenza in nostro favore. Il vostro signor fratello, egli rispose, è un uomo, che può essere utilissimo alle mie mire. Conosce la Dalmazia e l’Albania ov’egli ha servito, e queste appunto sono le due provincie capaci di somministrare begli uomini per un reggimento. Ho fatto il conto di munirlo di lettere e danaro per ispedirlo a far colà coscritti senza indugio. A questo discorso mio fratello si getta al collo del Raguseo gridando: Vedrete, vedrete, mio amico: vi condurrò dalmatini, albanesi, croati, morlacchi, turchi, diavoli: lasciatemi fare, gospodina, gospodina, dobro jutro, gospodina.

Il capitano, anch’esso schiavone, si burlava forse del saluto illirico e fuori di proposito di mio fratello, ed incominciò a ridere; indi voltandosi verso me: Per voi poi, o signore, egli mi disse, mi fo un onore, pregandovi di accettare nel mio reggimento la carica di auditor generale. Voi siete uomo già perito nella curia e il vostro titolo di console... Ma a proposito del posto che occupate (andò egli proseguendo), debbo domandarvi una grazia. Io mi ritrovo in Venezia, cioè in un paese libero, ma l’affare di cui attualmente vi parlo, è dell’ultima delicatezza, potendo irritare il governo a motivo de’ suoi nazionali dalmatini; sono attorniato da esploratori che non mi lasciano; temo di qualche sorpresa: se voi poteste collocarmi in casa vostra, non sarei forse in salvo dalle persecuzioni della Repubblica, ma avrei tempo di evitarle. — Signore, io gli dissi, il mio quartiere non è bastantemente comodo. — Grida allora mio fratello, interrompendomi: Cederò la camera io al signor capitano. — Mi schermisco, ma inutilmente: ecco il Raguseo in casa. Veramente la compagnia di quest’uomo era piacevolissima, e benchè non fossi tanto facile a lasciarmi vincere, tuttavia duravo fatica a riguardarlo sempre per sospetto. Non volevo per altro aver nulla da rimproverarmi. Di mano in mano che sentivo parlare di persone interessate nel segreto dell’affare in questione, correvo subito per informazioni. Trovai alcuni negozianti incaricati delle uniformi del reggimento, e parlai con uffiziali ingaggiati dal colonnello inviato. Questo uomo riceve un giorno una lettera di cambio di sei mila ducati sui fratelli Pommer banchieri tedeschi; non fu accettata, perchè mancante di lettera di avviso, ma le firme erano perfettamente imitate; sicchè finalmente vi credetti, e caddi nella rete.

Tre giorni dopo entra il Raguseo in casa mia agitato e nella maggior costernazione; doveva pagare sei mila lire in quel giorno, nè aveva potuto ottenere dilazione alcuna; era perciò esposto a molestie; la natura del debito andava a scoprir tutto: era in disperazione: tutto era perduto. Il suo discorso mi commove; mio