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112 parte prima


Questo tema preso dal fondo delle vecchie commedie italiane era cattivo quanto l’antico Belisario, ed il Convitato di Pietra. Pure l’avevo purgato dai grossolani difetti che lo rendevano insopportabile, ravvicinando quanto mi fu possibile all’indole dell’antica cavalleria, ed alla decenza propria di una rappresentazione nella quale compariva Carlo Magno. Il pubblico, assuefatto a veder Rinaldo paladino di Francia comparire al consiglio di guerra involto in un mantello strappato, ed Arlecchino difendere il castello del suo padrone e sbaragliare i soldati dell’imperatore a colpi di pignatte e pentole rotte, ebbe piacere che l’eroe calunniato sostenesse la sua causa nobilmente, nè vide con rincrescimento abolite affatto buffonerie fuori di proposito. Il Rinaldo di Montalbano ebbe applauso, ma non quanto il Belisario ed il Convitato di Pietra. Si diè termine con questo alla stagione d’autunno; io non l’aveva destinato per la stampa, e fui dolente di trovarlo impresso nell’edizione di Torino.

Il primo anno di matrimonio mi aveva tenuto occupato in maniera che non avevo avuto tempo di mettere insieme verun lavoro comico. Era necessario pertanto far qualche cosa di nuovo per l’inverno. Trovandomi una tragedia, sbozzata in Genova, di cui ero al quart’atto, feci prestissimo il quinto; mutai, corressi in fretta, insomma misi in stato gli attori di esporre questa rappresentazione al principio di carnevale.

Il titolo della mia composizione era Enrico Re di Sicilia, soggetto da me preso nel Matrimonio per vendetta, che è una novella inserita nel romanzo dei Gilblas. Era sull’istesso gusto di Bianca e Guiscardo di M. Saurin dell’accademia di Francia, ma nè la tragedia dell’autore francese, nè la mia, ebbero un gran successo: convien dunque dire che vi sono temi disgraziati che non son fatti per riuscire. I comici per altro compensarono il danno con la replica del Rinaldo, e chiusero con esso l’anno comico. Si fecero nella quaresima alcune mutazioni in questa compagnia, che fu portata, per quanto era possibile, al punto della sua perfezione. Fu presa in cambio della Bastona madre, la Bastona figlia, attrice eccellente, piena d’intelligenza, nobile nel serio, e graziosissima nel comico. Al Vitalba, primo amoroso, era subentrato il Simonetti, meno brillante del suo predecessore, ma però più decente, più istruito, e più docile. Era stato fatto acquisto del Pantalone Golinetti, mediocre nelle parti della maschera, ma molto più abile per rappresentare i caratteri di giovine veneziano a viso scoperto; ed il dottor Lombardi, che per la sua figura, e per il suo ingegno era unico in questo impiego. Per mia buona sorte la Passalacqua era stata licenziata; veramente non avevo verso di lei rancore alcuno, ma stavo meglio quando non la vedevo. Il soggetto però che rese questa compagnia completamente buona, fu il famoso Arlecchino Sacchi, la cui moglie recitava passabilmente le seconde parti di amorosa, e la sorella, eccettuato un poco di caricatura, molto bene quelle di servetta. Eccomi (andavo dicendo tra me stesso), eccomi nella miglior condizione; adesso sì che posso dar lo scatto alla mia immaginazione; abbastanza ho lavorato sopra temi rancidi, ora bisogna creare, conviene inventare. Ho tra mano attori che promettono molto; ma, per impiegarli utilmente, è necessario rifarsi dallo studiarli: ciascuno ha il suo carattere naturale, e se l’autore ne assegna al comico uno che sia appunto analogo al suo proprio, la riuscita è sicura. Su via (continuavo sempre nelle mie tacite riflessioni), ecco forse il momento di tentar quella riforma avuta in mira da sì lungo tempo. Sì, bisogna trattare soggetti di carattere; sono