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capitolo xl | 111 |
che realmente ero, e ciò che facevo, ed egli si scusò. Amava gli spettacoli, andava al teatro comico, aveva veduto le mie rappresentazioni, ed era fuor di sè dalla gioia di aver fatto la mia conoscenza, come me di aver fatto la sua. Eccoci l’uno e l’altro avvicinati: veniva spesso da me, ed io da lui; così vedevo la signorina Conio, ed in lei trovavo ogni giorno nuove grazie, nuovo merito. In capo a un mese feci io stesso al signor Conio richiesta della di lui figlia. Non ne fu stupito; erasi già accorto benissimo della mia inclinazione, nè temeva un rifiuto per parte della signorina; ma saggio e prudente qual era, domandò tempo, e fece scrivere al console di Genova a Venezia per avere informazioni riguardanti la mia persona Reputai giustissima la dilazione, e nel tempo medesimo scrissi ancor io. Partecipai a mia madre la nuova idea, le feci il ritratto della mia sposa, e la pregai di spedir subito tutti gli attestati necessari in simili occasioni.
In capo ad un mese ricevetti da essa l’assenso, insieme coi fogli richiesti, e alcuni giorni dopo il signor Conio ebbe per parte sua le più belle testimonianze in mio favore; onde il nostro matrimonio fu fissato a luglio, fu assegnata la dote, e firmato il contratto.
Nulla sapeva Imer di tutto questo, avendo io le mie ragioni per temere che non frastornasse il disegno. Ne fu dolentissimo, poichè dovea andar a Firenze a passarvi l’estate, e bisognò che vi andasse senza di me. Promisi ciò non ostante, di non abbandonar la compagnia, di lavorare per Venezia, di trovarmici in tempo, e non mancai di parola. Eccomi il più contento e il più felice uomo del mondo: ma poteva io avere una soddisfazione, senza che ella fosse seguita da un disgusto? La prima notte del mio matrimonio mi sopraggiunge la febbre, e viene per la seconda volta ad assalirmi il vaiuolo che aveva già avuto a Rimini nella mia prima gioventù.
Pazienza! Per buona fortuna non era maligno, nè diventai più brutto di quello che ero. Quanto pianse al capezzale del mio letto la povera mia moglie! Essa era la mia consolazione, e tale è sempre stata.
Partimmo finalmente ambedue per Venezia, al principio di settembre. O cielo! Quante lacrime essa sparse! che crudele separazione per mia moglie! lasciava in un tratto padre, madre, fratelli, sorelle, zii e zie... ma se n’andava per altro con suo marito.
CAPITOLO XL.
- Ritorno a Venezia con mia moglie. — Rinaldo di Montalbano, tragicommedia. — Enrico Re di Sicilia, tragedia. — Arrivo a Venezia del famoso Arlecchino Sacelli e della di lui famiglia. — Loro entratura nella compagnia di San Samuele. — Acquisto di altri buoni soggetti. — L’uomo di mondo, commedia di carattere in tre atti, parte scritta e parte abbozzata.
Arrivato a Venezia con mia moglie, la presentai a mia madre ed alla zia; mia madre rimase incantata alla dolcezza di sua nuora, e la zia, benchè non troppo pieghevole, riguardò la nipote come una sua buona amica. Era un insieme di famiglia da innamorare; vi regnava la pace, ed ero il più felice uomo del mondo. I comici, che non contavano altrimenti sopra di me, furono contenti di rivedermi, molto più che avevo loro portato una buona rappresentazione, il Rinaldo di Montalbano, tragi-commedia in versi di cinque atti.