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110 | parte prima |
minciarono a dir fra loro, scommetto che alla prossima estrazione escirà il tale; l’altro diceva, ed io scommetto il tal altro; e la scommessa era eguale. Poco tempo dopo vi furono persone accorte che tennero banca pro e contro con condizioni vantaggiose per i giuocatori. Il governo ciò seppe, e le piccole banche subito si proibirono; ma essendosi presentati appaltatori, furono esauditi. Ecco pertanto stabilito il lotto in principio per due sole estrazioni: si accrebbe bensì il numero di esse di lì a poco. In oggi si trova quasi per tutto, nè starò ad esaminare se sia un bene ovvero un male. M’impaccio sempre di tutto, senza decider nulla; e procurando di riguardar le cose dalla parte dell’ottimismo, a me sembra che il lotto di Genova sia una buona rendita per il governo, un’occupazione per gli sfaccendati, una speranza per gl’infelici. Riguardo a me, quella volta trovai il lotto molto piacevole; vinsi un ambo in cento doppie, ed ero più che contento. Ebbi però in quel paese una fortuna molto più da valutarsi, e che formò la delizia della mia vita. Sposai una giovine savia, onesta, graziosa, che m’indennizzò di tutte le male azioni fattemi dalle donne, e mi riconciliò col bel sesso. Sì, mio lettore, mi sono ammogliato, ed ecco come. Il direttore ed io eravamo alloggiati in una casa di attenenza del teatro. Dirimpetto alle finestre della mia camera avevo qualche volta veduto una ragazza che mi pareva assai bella, e con la quale avevo desiderio di far conoscenza. Un giorno, essendo al balcone sola, la salutai con qualche dimostrazione di tenerezza; mi fece una riverenza, disparve nel momento, nè si lasciò in sèguito più rivedere. Ecco stimolata la mia curiosità ed il mio amor proprio: procuro subito di sapere chi siano le persone che abitano in faccia al mio quartiere, e sento che vi stava il signor Conio notaro del collegio di Genova, uno dei quattro notari deputati alla banca di San Giorgio; uomo rispettabile, e che aveva del bene, ma per essere aggravato di una numerosissima famiglia non era così comodo quanto avrebbe dovuto essere. Va benissimo: voglio far conoscenza del signor Conio a qualunque costo. Era a mia notizia che Imer aveva alcuni fondi su codesta banca provenienti dai fitti dei palchetti che egli negoziava in quella piazza col mezzo di sensali di cambio; lo pregai di affidarmi uno di quei fondi, come fece senza alcuna difficoltà, ed io mi portai a San Giorgio per presentarlo al signor Conio, e profittar così dell’occasione, affine di scandagliare il di lui carattere. Trovai il notaro circondato di gente; aspettai che fosse solo, mi accostai al banco, e lo pregai di avere la compiacenza di farmi pagare la valuta della mia rendita.
Mi accolse questo brav’uomo con la maggior garbatezza, ma egli mi disse che avevo sbagliato la via, poichè tali biglietti non si pagavano alla banca: che per altro qualunque agente di cambio o negoziante mi avrebbe a vista sborsato il mio danaro. Feci pertanto a lui le mie scuse, dicendo che ero forestiero... ero suo vicino... Volevo dirgli molte cose; ma l’ora essendo avanzata, mi domandò permesso di chiudere il suo banco, soggiungendo che si sarebbe parlato con comodo cammin facendo. Esciamo insieme; mi propone di andare a prendere una tazza di caffè per aspettare l’ora del pranzo, ed io accetto, giacchè si prendono in Italia dieci tazze di caffè per giorno. Entriamo nella bottega di un acquacedrataio, e prendiamo posto; e siccome il signor Conio mi aveva veduto con i comici, mi domandò quali erano le mie parti in scena. — Signore, io gli dissi, la vostra proposizione non mi offende punto, poichè chiunque altro si sarebbe ingannato al pari di voi; — quindi gli manifesto quello