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capitolo xxxix 107


tanto ben sostenuto la parte di Belisario, superò sè stesso in quella di Gualtiero. Il Vitalba qui mi dà motivo di dover parlare della signora Passalacqua: egli era un bell’uomo, un comico eccellente, un gran corteggiatore di donne, un sommo libertino. Aveva già presa di mira la Passalacqua, e per vero dire, non occorreva darsi molta pena per soggiogarla. Frattanto nel tempo in cui frequentavo la compagnia di questa comica, seppi che il Vitalba pure andava a trovarla; ebbi inclusive notizia, che avevano godute insieme parecchie ricreazioni; ne fui sdegnato, e mi allontanai da questa donna infedele senza neppur degnarla di una lagnanza e senza addurre motivi del mio ritiro.

Ella mi scrisse una lettera molto tenera e di lamento, ed io le specificai nella risposta tutto ciò che avevo da dirle riguardo al suo cattivo procedere: me ne mandò una seconda, nella quale senza negar cosa alcuna, e senza scusarsi, mi pregò in grazia di portarmi a casa sua per una sola volta, per l’ultima volta, avendo alcune confidenze da farmi riguardo ai suoi affari, al suo onore, alla sua vita. Andrò io, non vi andrò? Stetti perplesso per qualche tempo, ma finalmente, o fosse per curiosità o per bisogno di sfogar la mia rabbia, presi la risoluzione di andarvi. Entro dopo essermi fatto annunziare, e la trovo sdraiata sopra un canapè col capo appoggiato ad un guanciale: la saluto, ella non mi fa parole; le domando che cosa aveva da dirmi, non risponde; mi salta il fuoco al viso, la collera mi accende, mi accieca, lascio libero il corso al mio risentimento, e senza alcun riguardo la opprimo con tutti i rimproveri che meritava. La comica non replicava parola, solo si asciugava di tempo in tempo gli occhi; temendo io le insidiose sue lacrime, volevo partire. — Sì, andate pure, essa mi disse con voce tremante: la mia risoluzione è già presa, avrete notizia di me fra pochi istanti. — Il suono di queste vaghe espressioni non mi arresta, prendo a dirittura la volta della porta, mi rivolgo per dirle addio, e la vedo con un braccio in aria, ed uno stiletto in mano con la punta al petto. Una tal vista m’inorridisce; perdo il cervello, corro, mi getto ai di lei piedi, le strappo lo stile di mano, le asciugo le lacrime, tutto le perdono, tutto le prometto, e rimango da lei. Desiniamo insiere, ed... eccoci come prima. Contento della mia vittoria, benedicevo il momento in cui mi ero voltato addietro nell’uscire: ero amante, e l’amavo davvero: ed ero altresì contento ch’essa pure mi amasse. Cercavo persin ragioni per iscusare la sua mancanza. Il Vitalba l’aveva sorpresa, essa n’era pentita, ed aveva rinunziato a lui per sempre, e poi per sempre... in capo a pochi giorni però ebbi notizia, da non poterne dubitare, che la signora Passalacqua ed il signor Vitalba avevano desinato e cenato insieme burlandosi di me.

CAPITOLO XXXIX.

Il mio Convitato di Pietra, sotto il titolo di Don Giovanni Tenorio, ossia il Dissoluto. — Completa vendetta contro la Passalacqua. — Mio viaggio per Genova. — Colpo d’occhio di questa città. — Origine del lotto reale. — Mio matrimonio. — Mio ritorno a Venezia.

Non è per abbellire le mie Memorie, nè per ricevere congratulazioni sulla mia balordaggine, che nel precedente capitolo ho fatto una descrizione minuta delle infedeltà di una comica, che mi ha