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106 | parte prima |
oggi preferire a tutte una giovine stupida ed una donna senza ingegno e senza educazione, questa è cosa che fa vergogna a voi, ed è umiliante per me. Oh Dio! non aspiro già alla fortuna di possedere il vostro cuore, non ho merito bastante per nutrirne la speranza; ma son comica, non mi trovo altro stato, non ho altro partito; giovine, senza esperienza, abbisogno di consiglio, di esercizio, di protezione. Se avessi la fortuna di piacere a Venezia, sarebbe stabilita la mia reputazione, assicurata la mia sorte; voi frattanto potreste contribuire alla mia felicità col vostro ingegno e con le vostre cognizioni, e sacrificando per me i vostri momenti di ozio, potreste rendermi felice; ma voi mi abbandonate, mi disprezzate. Oh cielo! che mai vi feci?... Le scappava dagli occhi qualche lacrima. Confesso che il discorso mi aveva già intenerito, il suo pianto poi terminò di compiere la mia disfatta: le promisi assistenza, le mie premure, i miei buoni uffici, ma non era contenta; avrebbe voluto il sacrifizio totale della moglie del suonatore. Simile proposizione mi disgustò, le dissi adunque esser questo troppo pretendere, e che perciò ero determinato di andarmene. La signora Passalacqua mi trattiene, prende un’aria di vivacità, guarda il cielo, trova il tempo bellissimo, e mi propone di andare a prendere il fresco in sua compagnia in una gondola, fatta già venire a riva: ricuso, ed ella scherza ed insiste, mi prende per un braccio, e mi trascina. Come fare per non andar seco?
Entriamo in questa vettura, ove si stava con l’istessa comodità che nel più delizioso gabinettino, e c’inoltrammo nel largo della vasta laguna, dalla quale è circondata Venezia. Il nostro astuto gondoliere chiude la piccola cortina dì dietro, fa fare al remo da timone della gondola, e la lascia dolcemente andare a seconda del riflusso del mare. Si parlò di molte cose allegramente, e con piacere; e in capo ad un certo tempo la notte ci pareva molto inoltrata, nè sapevamo ove fossimo. Voglio guardar l’orologio, ma era troppo buio per vederci: apro adunque la finestrella di poppa, e chiedo al gondoliere, che ora era: — Non ne so nulla, signore, egli rispose, credo bensì, se non m’inganno, che sia appunto l’ora degli amanti. — Andiamo, andiamo senz’altro indugio, io gli dissi, a casa della signora. — Egli allora ripiglia il remo, gira la prua della gondola verso la città, e ci canta, cammin facendo, la vigesima sesta stanza del decimo canto della Gerusalemme liberata.
Entrammo in casa della signora Passalacqua alle ore dieci e mezzo della sera: ci fu portata una deliziosa cenetta: cenammo da soli, e la lasciai a mezzanotte, partendo nella più ferma determinazione di esser grato alle garbatezze di cui ella mi aveva ricolmato. Dovendo aspettare che mia madre trovasse un quartiere conveniente per collocarmi seco, stavo sempre in casa del direttore della compagnia. Il giorno successivo alla sera singolare della quale ora parlo, vidi il mio ospite, e gli dissi che il carattere fiero e geloso del vecchio sonatore mi aveva disgustato, e perciò lo pregavo di dispensarmi dalle premure, delle quali mi aveva incaricato a riguardo della giovine. Scarabocchiai quindi un intermezzo per la signora Passalacqua, e andai a trovarla per leggerle le prime prove della mia riconoscenza. In questo mentre fu messa in scena la Griselda. Questa tragedia fu ricevuta dal pubblico come un’opera nuova; piacque molto, e richiamò molto popolo. La Romana, quantunque su questo teatro sino da venti anni, fu applaudita in tal rappresentazione come la prima volta. Il Casali si guadagnava l’affetto del pubblico e faceva piangere; e il Vitalba, poichè aveva