Pagina:Goldoni - Memorie, Sonzogno, 1888.djvu/106

104 parte prima


drigali analoghi alla qualità del loro impiego, unitamente a parecchi versi che si dicevano dalle quattro maschere, per allora a viso scoperto, nelle lingue dei personaggi che rappresentavano.

La seconda parte consisteva in una commedia d’un solo atto a braccia, nel quale procuravo di far nascere scene molto gradevoli per i nuovi attori. La terza poi conteneva un’opera comica in tre atti, ed in versi, intitolata la Fondazione di Venezia.

Questa composizioncella, che era forse la prima opera comica comparsa nello Stato veneto, si trova nel vigesimo ottavo volume delle mie opere dell’edizione di Torino. Imer fu contentissimo della mia idea e della maniera con la quale l’avevo eseguita. N’era incantata tutta la compagnia; non c’era che la Bastona, che si lamentasse di me, dicendo ad alta voce, che nella ciarlataneria della mia apertura avevo fatto per la signora Ferramonti (la quale in sostanza era una seconda attrice) una composizione in versi che le prime avean tutto il diritto di reclamare, ed incitava la Romana a lagnarsene e a molestarmi. — Ahimè! la povera Ferramonti non fu per molto tempo l’oggetto della gelosia dei suoi camerati. Era gravida, e il tempo del suo parto si manifestava con preliminari sommamente incomodi. La natura le ricusò il suo aiuto, e la levatrice si trovò nella più grande difficoltà. Fu fatto venire il professore; essendo il feto mal voltato, convenne ricorrere all’operazione cesarea. Il figlio era già morto, e la madre lo seguì poco dopo.

Venne a trovarmi il marito nella maggior desolazione, ed io non era men desolato di lui; non poteva più vedermi in questa città, nè sostener più a lungo la vista di quelle donne che godevano della mia afflizione; onde, sotto pretesto di andare a trovar mia madre, che era di ritorno da Modena, partii subito per Venezia.

CAPITOLO XXXVIII.

Mio ritorno a Venezia. — Colloquio con mia madre. — Condotta dell’antica mia bella. — Ritorno a Venezia della compagnia de’ miei comici. — Mia propensione per la signora Passalacqua. — Sua infedeltà.

Giunto a Venezia, la mia maggior premura fu quella di andar subito ad abbracciar mia madre. La nostra conversazione fu lunga: i miei capitali di Venezia erano liberi da ogni ipoteca, le rendite di Modena erano aumentate, e mio fratello era rientrato al servizio. Avrebbe desiderato mia madre che mi fossi dato un’altra volta alla professione di avvocato. Le feci vedere che avendo una volta abbandonato quella professione, ed essendo comparso in patria sotto un aspetto affatto diverso, non potevo più sperare di quella fiducia che avevo demeritata, e che la vita intrapresa parevano in egual modo onorevole e lucrosa. Essa allora con le lacrime agli occhi soggiunse, che non osava opporsi ai miei voleri, che aveva sempre da rimproverarsi l’avermi distolto dalle cancellerie criminali, e che perciò mi lasciava padrone di scegliere quello stato che più mi fosse piaciuto, riconoscendo che erano in me ragione, onoratezza e operosità. La ringraziai, l’abbracciai per la seconda volta, e di discorso in discorso, venni all’argomento St*** e di sua figlia, molto contento, che il disprezzo di queste dame dimostrato per il mio nuovo impiego mi avesse reso libero da ogni timore, e da qualunque impiccio. — Niente affatto, replicò mia madre, t’inganni.