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100 parte prima


fine della rappresentazione tutti codesti impeti di soddisfazione, per vero dire poco comune, raddoppiavano in maniera che gli attori stessi n’erano commossi. Gli uni piangevano, gli altri ridevano, ed era la gioia medesima che produceva questi effetti diversi.

In Italia non vi è l’uso di chiamar l’autore per vederlo, ed applaudirlo sul palco scenico. Allorquando bensì si presentò il primo amoroso per far l’invito, tutti gli spettatori gridarono ad una voce: Questa, questa, questa; onde fu calato il sipario. Si espose il giorno dopo la stessa rappresentazione, si continuò a recitarla fino al 14 di dicembre, e si chiuse con essa il divertimento teatrale dell’autunno. Questo principio fu felicissimo per me, tanto più che la composizione non era di quel pregio in cui si teneva, ed io medesimo ne fo adesso sì poco conto, che non comparirà nella raccolta delle mie opere. In Venezia è così ben conosciuta e così ben coltivata la buona letteratura quanto in qualunque altro luogo; ma gl’intendenti non poterono astenersi dall’applaudire quest’opera, benchè ne rilevassero le imperfezioni. Vedendo essi la superiorità della mia composizione sulle farse, sulle solite puerilità dei comici, presagivano da questo primo saggio un seguito capace di svegliare emulazione e spianare la via alla riforma del teatro italiano. Il principal difetto della mia composizione era la presenza di Belisario con gli occhi cavati e sanguinosi; all’infuori di questo, essa, intitolata da me tragicommedia, non era priva di grazie, e dilettava lo spettatore in modo evidente e naturale. I miei eroi eran uomini e non semidei, le loro passioni avevano quella parte di nobiltà ch’era conveniente al loro grado; ma facevano comparire l’umanità, quale appunto la conosciamo, non portandone i vizi e le virtù ad un eccesso immaginario.

Il mio stile non era elegante, e la mia versificazione non è mai giunta al sublime; ecco appunto ciò di che abbisognava per ricondurre una volta alla ragione un pubblico assuefatto all’iperbole, alle antitesi, ed al ridicolo del gigantesco e dei romanzi. Alla sesta rappresentazione del mio Belisario, credè Imer di potervi unire la Pupilla; questa composizioncella fu benissimo accolta dal pubblico. Imer era d’opinione che l’intermezzo sostenesse la tragicommedia, laddove questa appunto sosteneva l’intermezzo. In qualunque modo, vi guadagnai molto per parte mia, poichè il pubblico vedendo che io mi presentava in tutti due i generi in una maniera affatto nuova, mi fece degno della stima generale de’ miei compatrioti, ed io ebbi incoraggiamenti i più lusinghieri e i più chiari. In quest’occorrenza appunto imparai a conoscere sua eccellenza Niccolò Balbi, patrizio e senator veneziano, la cui sincera e costante protezione mi fece in ogni tempo il più grand’onore, ed i cui consigli, credito ed aderenze furono sempre del maggior mio vantaggio.

Li 17 gennaio si rappresentò per la prima volta la mia Rosmonda, Essa non cadde; ma dopo il Belisario, non potevo sperare un successo così splendido; fu ripetuta in quattro rappresentazioni molto passabili, ed alla quinta Imer la spalleggiò con un nuovo intermezzo. La Birba piacque sommamente: questa bagattella piena di arguzie, e molto bizzarra, sostenne Rosmonda per quattr’altre recite; bisognò per altro tornare al Belisario. La ripetizione di essa ebbe il medesimo successo della prima volta; onde il Belisario e la Birba furono esposte unitamente fino al martedì grasso, e chiusero il carnevale: con questo si diè termine all’anno comico.

I teatri non si riaprono in Venezia che al principio del mese