vedevo che ne era geloso; mi presi adunque giuoco di lui medesimo. Egli se ne avvide subito, ma l’intermezzo gli parve così ben fatto, e la critica sì conveniente e delicata, che mi perdonò volentieri questa burla; anzi mi ringraziò, mi applaudì, e lo spedì subito a Venezia al maestro di musica già avvertito. Frattanto era stato copiato il Belisario, ed erano distribuite le parti. Alcuni giorni dopo se ne fece la prima prova con lo scritto alla mano, e la composizione ebbe maggiore effetto nella seconda lettura, di quello che aveva avuto nella prima. Il Casali sempre più di me contento, dopo avermi assicurato, che il direttore ed il proprietario del teatro si sarebbero dati pensiero di ricompensarmi, mi chiese in grazia di aver la compiacenza di ricever da lui privatamente un contrassegno di gratitudine, presentandomi sei zecchini. Mi tornò subito in quell’istante in memoria lo Scacciati: ringrazio il Casali, prendo i sei zecchini da una mano e li spedisco allo Scacciati con l’altra. Ecco il mio costume. Ho procurato sempre di evitar le bassezze, nè son mai stato orgoglioso; ho soccorso, quando ho potuto, tutti quelli che hanno avuto bisogno di me, ed ho ricevuto senza difficoltà, e dimandato anche, senza arrossire, i soccorsi che mi erano necessari. Restai tranquillamente a Verona sino al fine di settembre. In seguito partii per Venezia con Imer nel suo calesse di posta, e vi arrivammo l’istesso giorno a ott’ore della sera. Mi fa smontare in sua casa, mi mostra la camera destinatami, e mi presenta alla moglie ed alle figlie; siccome avevo gran voglia di andare a vedere la mia zia materna, li pregai di dispensarmi di cenar seco loro. Ero ansiosissimo di aver notizia della signora St*** e di sua figlia, come pure di sapere se avevano ancora pretensioni sopra di me. Mi assicurò mia zia, che potevo viver quieto sopra questo punto, e che le due dame, antiche quanto il tempo, avendo inteso aver io preso qualche impegno con i comici, mi reputavano indegno di accostarmi a loro, nè avean per me che sdegno e disprezzo. Tanto meglio, allora io dissi; tanto meglio, questo è un vantaggio di più, di cui sarò debitore al mio ingegno. Sto con i comici, come un artista appunto nella sua bottega. Essi son gente di garbo, ed assai più stimabili degli schiavi dell’orgoglio e dell’ambizione. Parlerò in seguito dei miei affari di famiglia. Mia madre, che si trovava ancora in Modena, stava bene, ed i miei debiti erano quasi pagati per intero. Cenai con la mia zia, e con i miei parenti. Dopo essermi congedato da loro per andare a casa del mio ospite, presi la strada più lunga, e feci il giro del Ponte di Rialto, e della piazza di San Marco, godendo del grazioso spettacolo di questa città ammirabile anche più di notte che di giorno. Non avevo ancor veduto Parigi, avevo bensì veduto di fresco parecchie città, ove la sera si passeggia al buio. Posso adunque dire che i fanali di Venezia formano una decorazione utile e piacevole, tanto più che i privati non ne sono aggravati, poichè un’estrazione di più all’anno del giuoco del Lotto è destinata per farne la spesa. Indipendentemente da questa illuminazione generale, vi è quella delle botteghe, che stanno aperte in ogni tempo fino all’ore dieci della sera, e una gran parte di esse non si chiude che a mezzanotte, e parecchie altre non si chiudon punto. Si trovano in Venezia a mezzanotte, come sul mezzogiorno, i commestibili esposti alla vendita, tutte le osterie aperte, e cene belle e preparate negli alberghi, e nei quartieri da dozzina; poichè non son troppo comuni in Venezia i desinari e le cene di società; ma le conversazioni e i ritrovi di lira e soldo mettono insieme compagnie di maggior brio e libertà.