Pagina:Gogol - Taras Bul'ba, traduzione di Nicola Festa, Mondadori, Milano, 1932.djvu/31


TARAS BUL'BA

chiudeva, e le venne in mente: «Può darsi magari che Bul’ba, svegliandosi, rimandi di un paio di giorni la partenza. Forse quell’idea di partire subito gli venne perché aveva bevuto molto».

La luna dalla sommità del cielo già da un pezzo rischiarava tutto il cortile, pieno di dormenti, e il folto gruppo di salici e l’alta erba della steppa, in cui s’affondava lo steccato attorniante il cortile. Ella era ancora lí a sedere presso il capezzale dei suoi figli cari, e neppure per un minuto deviava da essi lo sguardo, e non pensava a dormire. Già i cavalli, sentendo il crepuscolo, s’erano tutti distesi nell’erba e avevano smesso di mangiare; le foglie piú alte dei salici cominciavano a bisbigliare, e a poco a poco la corrente di quel bisbiglio si calava in essi fino al basso. Ella continuò a sedere lí fino all’alba; non era affatto stanca, e in cuor suo desiderava che la notte durasse il piú possibile a lungo. Per la steppa si diffuse il sonoro nitrito di un puledro; strisce rosse s’accesero di viva luce nel cielo.

Bul’ba a un tratto si svegliò e saltò in piedi. Egli ricordava molto bene tutti gli ordini che aveva dati la sera avanti.

— Su, ragazzi, basta il dormire! È ora, è ora! Abbeverate i cavalli! E la vecchia dov’è?


29