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GOGOL

pí la villa; molti ospiti vennero ai funerali; lunghe tavole furono disposte nel cortile e riempite di kutjia1, di liquori e di pasticcini a mucchi. Gli ospiti parlavano, piangevano, guardavano la defunta, ragionavano delle sue virtú, volgevano gli sguardi a lui; ma egli fissava tutto con uno sguardo strano. Da ultimo cominciarono a trasportare il cadavere; tutta quella folla si riversò dietro il feretro, ed egli la seguí. Il clero era in pieno apparato, il sole splendeva, bambini lattanti piangevano tra le braccia delle madri, cantavano le allodole, ragazzi in maniche di camicia correvano e folleggiavano sulla strada. Da ultimo deposero la bara sopra la fossa; invitarono lui ad accostarsi a baciare per l’ultima volta la morta. Si accostò, baciò; nei suoi occhi apparvero delle lagrime, ma come lagrime non sentite. Calarono la bara nella fossa, il sacerdote prese una pala e gettò per primo un pugno di terra; il fitto e lento coro del diacono e dei due chierici cantò fino in fondo l’«eterna memoria», sotto il cielo puro, senza nubi; i braccianti diedero mano alle pale, e ormai la terra aveva colmata e spianata la fossa. In quel momento egli si spinse avanti; tutti si sco-


  1. Specie di riso, o di frumento, al miele, usato nei banchetti funebri.

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