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GOGOL

ro seguire il loro costume femminile: mandare un grido e precipitarsi a rotta di collo, per aver visto un uomo, e poi durare un pezzo a coprirsi il volto con la manica, per la grande vergogna. Il salone era addobbato nel gusto di quel tempo, sul quale sono rimasti alcuni vivaci accenni soltanto nelle poesie e nei canti lirici popolari che oggi nell’Ucraina non si sentono piú, cantati da vecchi ciechi barbuti, con accompagnamento di un lieve tintinnío di pandora, al cospetto di un cerchio di popolo; nel gusto, dico, di quel tempo violento e difficile, in cui cominciarono a svolgersi scaramucce e battaglie nell’Ucraina a causa dell’Unione religiosa. Tutto era pulito, ricoperto d’un intonaco a colori. Sulle pareti: sciabole, scudisci, piccole reti da uccelli, reti da pesca e fucili, un corno abilmente lavorato, per la polvere, un morso dorato e pastoie con placche d’argento. Le finestre nel salone erano piccole, con vetri tondi opachi, quali oggi si trovano soltanto nelle chiese antiche, e non era possibile guardare fuori, se non sollevando un vetro mobile. Attorno alle finestre e alle porte c’erano delle riquadrature rosse. Sui palchetti negli angoli posavano boccali, bottiglie e fiaschi di vetro verde e turchino, coppe d’argento cesellate, bicchierini dorati di ogni sorta di fabbrica: veneziani, turchi,


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