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GOGOL

fino alle porte della città, proprio nel momento in cui entravano le ultime file delle truppe. Guardo... avanti alla bandiera il signore alfiere, Galjandovic. È mio conoscente: già da tre anni ha con me un debito di cento ducati. Mi accostai a lui, con la scusa di regolare il conto, e cosí entrai in città.

— Come? Entrasti in città, e poi volevi anche regolare il conto? — disse Bul’ ba. — E lui non ti fece impiccare all’istante come un cane?

— Ah, in fe’ di Dio, voleva impiccarmi — rispose l’ebreo — già i suoi servi mi avevano ghermito e messo il laccio al collo; ma io supplicai il signore, gli dissi che aspetterò il debito quanto il signore vuole, e gli promisi di dargli ancora in prestito, purché mi aiuti a riscuotere dei crediti da altri cavalieri; perché il signore alfiere — voglio dire tutto al signor colonnello — non aveva in tasca neppure un ducato. È vero che possiede fattorie e ville e quattro castelli e tenute di steppa fino addirittura a Sc’klov, ma di danaro contante, proprio come il cosacco, neppure l’ombra! Anche adesso, se non l’avessero equipaggiato gli Ebrei di Breslavia, non avrebbe potuto neppure partire per la guerra. Per questo anche non si trovò alla Dieta...

— Che facesti nella città? Vedesti dei nostri?


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