Pagina:Gogol - Taras Bul'ba, traduzione di Nicola Festa, Mondadori, Milano, 1932.djvu/113


TARAS BUL'BA

morire; si fermò tutto tremante, e disse piano:

— Che c’è?

— Hai con te una femmina! Bada, quando mi alzo, ti spianerò le costole ben bene! Non ti porteranno a buon fine le femmine! — Detto questo, sollevò la testa appoggiandola a un gomito e si mise a guardare attentamente la tartara avviluppata nel suo velo.

Andrea stava lí, né vivo né morto, senza avere la forza di levare gli occhi, guardò e vide che il vecchio Bul’ba dormiva già, col volto appoggiato alla palma della mano.

Si fece il segno della croce. A un tratto la paura svaní dal suo cuore, anche piú presto di come gli era venuta. Quando si voltò per guardare la tartara, se la vide dinanzi dritta come una statua di granito, tutta avvolta nel suo velo; e un riflesso d’incendio lontano, guizzando a un tratto, non illuminò di lei altro che gli occhi, sbarrati come di un morto. La tirò per una manica, e s’avviarono entrambi insieme, continuamente voltandosi a guardare indietro, e da ultimo si calarono giú per il pendío nel fossato sottostante — una sorta di borro, di quelli che in certi luoghi chiamano balki — in fondo al quale serpeggiava pigramente il ruscello tutto erboso di carici e disseminato di zolle. Calatisi in quel fossato, si sottrassero interamente alla


111