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LA CARROZZA




La piccola città di T*** si rallegrò molto quando vi si stanziò un reggimento di cavalleria: fino allora c’era stata un’uggia terribile. Se accadeva di attraversarla e di guardare le vecchie catapecchie imbiancate, che s’affacciano sulla strada con un’espressione stupida e agra, è impossibile esprimere quel che si sentiva in cuore: un rincrescimento simile a quello di chi ha perduto al giuoco od ha fatto qualche sciocchezza; insomma un vero malessere. L’intonaco delle case se lo era portato via la pioggia e le muraglie di bianche si eran fatte pezzate; i tetti, in massima parte, eran ricoperti di canna, come quelli de’ paesi meridionali.

I giardinetti, in omaggio all’estetica, il sindaco da un bel pezzo li aveva fatti togliere.

Per le vie non s’incontrava anima viva, se non una gallina che attraversa il selciato, divenuto morbido come un piumino per la polvere che vi s’è addensata. La quale alla minima pioggia si cambia in mota prolificante di quei corpulenti animali, che il sindaco assomiglia ai Francesi. Essi sollevano dignitosamente il grifo da quel pattume ed emettono tali grugniti da costringere i viaggiatori ad affrettarsi e a spronare il cavallo.

A stento si può incontrare un viaggiatore; molto di rado qualche possidente d’undici anime, con giubba di