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UNA NOTTE DI MAGGIO 51

generarsi che nella mente sua all’indirizzo di un sindaco, come quello di cui abbiamo parlato.

III.

Il rivale inaspettato – Una congiura.


– No, giovinotti; non voglio: basta con le pazzie. Ogni bel giuoco dura poco. Abbastanza si ha nome di capiscarichi... andiamo a letto piuttosto!...

Così parlava Levko ai suoi compagni, che volevano indurlo a nuove chiassate.

– Amici: addio e buona notte! E s’allontanò a rapidi passi.

Pensava, avvicinandosi alla casa da’ ciliegi nani: «Dormirà la mia Anna?» Bruscamente il silenzio fu rotto da un vociferare sommesso; attraverso gli alberi vide biancheggiare una camicia: «Che affare è questo?» mormorò spingendosi avanti, ma nascondendosi dietro un tronco d’albero, per meglio vedere e udire e per non essere scorto.

La luna rischiarava un viso di ragazzina: questa ragazzina era Anna. «Ma quel giovine alto che mi volta le spalle, chi sarà?» E si affaticava per vederlo, ma invano, poichè tutta la sua persona era in ombra, tranne una piccola parte del torso. Ogni passo che Levko avesse fatto l’esponeva a farsi sorprendere; pure, evitando di far rumore, s’appoggiò a un albero, deciso di restarvi fermo. La ragazzina pronunciò nettamente il suo nome.

– Levko?... Levko è ancora un bambino che ha bisogno di poppare – diceva l’arrocchita voce dell’uomo sconosciuto. – Se lo sorprendo da te, gli dò una bella tiratina d’orecchi...

– Lo vorrei conoscere un po’, questo imbecille che si vanta di tirarmi le orecchie, pensò Levko e si sporse ancora più, ma non udì che un sommesso balbettio, del quale non capì una sillaba.

Poi, quando si tacque l’uomo dall’alta statura, Anna a voce alta disse:

– Non ti vergogni?... tu non dici la verità e cerchi d’ingannarmi. Non è vero che tu mi ami; non mi hai mai voluto bene!