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UNA NOTTE DI MAGGIO 43

dano con invidia e i giovinotti... Anche la mamma da un pezzo in qua mi tien d’occhio con più severità. Ero più contenta quando stavo con estranei.

Il viso le si fece ancora più addolorato pronunciando queste parole amare.

– Non sono ancora due mesi che sei tornata al paese natale, e già ti ci annoi. Forse ti dò noja anch’io?

– Oh, no! tu non mi dai noja – diss’ella sorridendo. – Io ti amo, cosacco dalle ciglia nere, ti amo perchè hai gli occhi neri, che, se mi guardano, l’anima mi si colma di piacere; ti amo perchè hai i baffi neri e li accarezzi con tanto garbo; perchè quando cammini per istrada suoni e canti così bene, che è un gusto a sentirti.

– Alia mia! – esclamò il giovinotto, baciandola e stringendosela ancor più al petto.

– Aspetta! Basta Levko! dimmi piuttosto se ne hai parlato a tuo padre...

– Di che? del mio matrimonio con te? Sì, ne ho parlato – disse il cosacco come risvegliandosi dal sonno, pronunciando le ultime parole con malinconia.

– E lui?

– Che c’è da fargli? Quel vecchione tien duro come al solito e non vuole intender ragione e non fa altro che rimproverarmi perchè, secondo lui, io vado a girare di qua e di là, Dio sa dove, e m’imbranco con cattive compagnie. Non ti disperare, Alia mia! Ti dò la mia parola di cosacco, che gli farò fare quel che piace a me.

– Di’ quel che tu vuoi, Levko, e io farò a modo tuo. Lo so da me: qualche volta non ti vorrei obbedire, ma basta che tu mi dica una parola perchè io sia costretta a far tutto quel che ti aggrada... Guarda, guarda lassù – continuò posando la testina sulla spalla del cosacco, cogli occhi volti verso l’alto, dove, nel vasto cielo ukraino che andava imbrunendosi, si lineavano nette le ramificazioni de’ ciliegi. – Guarda lontano, tanto lontano: le stelle pare che ci guardino: una, due, tre, quattro, cinque... È vero che sono gli angeli di Dio che aprono le finestrine delle loro case piene di luce, e che stanno a guardarci? Oh! se avessimo le ali, come gli uccellini, che piacere a volare lassù, lon-