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4 | NICOLA GOGLO |
sole. Aveva ereditato il sangue sveglio della sua famiglia di cosacchi, di quei cavalieri erranti della steppa, che passano con strana voltabilità dalle efferatezze e asprezze della guerra e del tempo, alle dolcezze del sentimento, ai sogni dell’imaginazione.
Ebbe dunque dal suolo natìo e dalla famiglia i maggiori benefizî dell’anima e del corpo.
Nacque nel 1809 a Sorocinzi, presso Poltava, in una casa piena di libri che il padre, caldo estimatore e coltivatore delle lettere, comprava e leggeva.
Da fanciullo restava estatico alle narrazioni del nonno, nei cui discorsi passavano gli usi e le costumanze del buon tempo antico, le gesta avventurose dei cosacchi Zaporogues e dei briganti della steppa, le lunghe guerre di desolazione e di sterminio sostenute dalla povera Polonia, le paurose scene fantastiche: tutte cose che lo facevano rimanere assorto nel pensiero e gli popolavano i sogni di paure e di apparizioni.
Il padre gli sbriciolava i primi bocconcini del sapere e gli acuiva l’osservazione col mostrargli e fargli ripetere sulle scene di un teatrino di famiglia la mimica, i gesti e le parole di vari tipi presi dal vero.
Dodicenne fu mandato a un ginnasio di Niégin. Quivi pare si distinguesse come negligentissimo scolaro, ma vaghissimo compagno, che oltre a deliziar sè stesso, satireggiando a danno degli amici, rallegrava gli altri con le sue sempre nuove e sempre varie invenzioni spiritose. Appassionato lettore di tutto quel che gli capitava sotto gli occhî, odiava d’un implacabile odio catilinario ogni studio in generale, e in particolare le matematiche e le lingue moderne: coltivava il disegno con assai diletto e profitto.