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LA FIERA DI SOROCINZI 35


XII.

– Di’ la verità; hai tu rubato davvero qualche cosa, compare? – domandò Cerevik, legato insieme con lui sotto una tettoja di paglia.

– Che mi si secchino le braccia e le gambe se ho mai rubato nulla, eccetto, quand’ero piccino, qualche ghiottoneria alla mamma.

– Perchè allora c’è accaduta questa disgrazia? Quanto a te, meno male: tu sei accusato d’aver rubato ad altri; ma io sono incolpato dell’accusa imbecille di aver rubato a me stesso. Si vede proprio che è scritto nel nostro destino di non aver mai fortuna.

– Poveri noi; abbandonati da tutti!

E i due compari si misero a singhiozzare.

– Che hai, Cerevik? – domandò Giorgetto, entrando in questo momento – chi t’ha legato?

– Olopupenko, Olopupenko! – gridò Cerevik raggiante di gioja. – Eccolo qui, vedi, compare, quello di cui t’ho parlato. Che Dio mi faccia cascar morto se non s’è ingojato in presenza mia un boccale grosso come la tua testa, senza fare una smorfia.

– Perchè non hai dato retta a un giovinotto così bravo?

– Tu vedi bene – disse Cerevik rivolto a Giorgetto – che Dio m’ha castigato per averti fatto un torto. Perdonami, amico! Sarei pronto a fare ogni cosa per te, ma ho una vecchia che ha il diavolo in corpo!

– Io non sono vendicativo, Cerevik. Se ti farà piacere ti rimetto in libertà.

E dietro un suo cenno gli stessi giovani che l’avevano scortato lo sciolsero.

– Ora sta in te a portarti bene. Facciamo queste nozze e poi si ballerà tanto che le gambe seguiteranno a dolerci per un’annata intera.

– Va bene, va bene – disse Solopi battendo le palme. – Mi sento allegro come se i moscoviti m’avessero portato via la vecchia! Senza pensarci, o bene o male oggi si farà lo sposalizio.

– Ascolta bene, Solopi: fra un’ora sarò da te; ora