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LA FIERA DI SOROCINZI 19

stia bene, ma non ho forza di sottrarre la mano dalla sua.»

Il contadino si voltò verso la ragazzina per dirle qualcosa, ma la parola «grano» lo attrasse verso due contadini che discutevano, e niente potè ormai fuorviare la sua attenzione tutta rapita da essi.

Ecco qual conversazione s’era impegnata fra i due contadini.

III.

– Dunque, compare, tu credi che il nostro grano si venderà male? – Diceva un ometto dall’aspetto di un buon provinciale, in calzoni rigati a stampa, incatramati e pieni d’unto, ad un altro in svita turchina rattoppata, con una natta sulla fronte.

– Non si tratta di credere! Che io dondoli strozzato a quest’albero, come una salsiccia alla vigilia di Natale, se oggi si riesce a vendere uno stajo solo di grano.

– Ma che cosa tu mi vieni a dire, compare? Alla fiera non c’è nemmeno un chicco di grano di più di quello che abbiamo portato noi.

Qui l’attento padre della ragazza pensò: «Sì, sì: dite quel che volete, ma intanto io me ne tengo in serbo dieci belle sacca.»

– Già si sa, quando il diavolo ci mette la coda c’è da stare a cena come con un moscovita affamato! – disse serio serio l’uomo dalla natta.

– Che diavolo?

– Come! non hai sentito quel che dice la gente? - continuò quello dalla natta, guardando con occhi cupi il suo interlocutore.

– Che cosa?

– Che cosa?! Figurati che il prefetto, che non possa più bagnarsi la lingua nell’acquavite, il prefetto ci ha dato un posto così maledetto, dove, che io crepi se si vende un chicco. Ma che si gira! Lo vedi tu quel vecchio magazzino mezzo rovinato, là... più su... sì, proprio lì... sotto il monte. (Qui il padre della nostra ragazzina, curioso, s’avvicinò ancora di più e si fece tut-