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I.
ANNA.
Un echeggiar di canti correva come fiumana sonora traverso le vie del villaggio di... Era l’ora, nella quale, stanchi dal lavoro e dalle cure del giorno, giovani e ragazze si raccolgono in allegre brigate, nella serenità della limpida sera, nei suoni sempre più pieni di malinconia; e, malinconica appunto, la sera misteriosa spirava pel cielo azzurrino, immergendo tutte le cose in vaghe lontananze. Già scendeva il crepuscolo, e i canti non cessavano ancora. Il giovane cosacco Levko, figlio del Capo1 del villaggio, con la bandura2 in mano, quatto quatto si era allontanato dai cantori. Calcatasi in testa la berretta pelosa, il cosacco avanzava per la via, pizzicando le corde dell’istrumento, che gli accompagnava il passo, e ballonzolando. Ecco: si ferma pian piano alla porta di una khata3, circondata da ciliegi nani. Di chi è quella khata? Di chi è quella porta? Dopo un breve silenzio, egli prese a cantare e a suonare:
«Il sole è giù, la sera già declina;
«Vieni vicino a me, cor di piccina!»
— Ma, certo; la mia bella dagli occhi chiari, va pei sette sonni, — disse il cosacco, finita la canzone, avvicinandosi alla finestra. — Haliu! Haliu!4 Dormi o non vuoi esporre al freddo il tuo visetto bianco? Non temere. Non c’è anima viva. La serata è calma; e se pur venisse qual-