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— Ma se... tuttavia... questo lo facesse durare ancora un poco... vedete... veramente...
— No, — replicò Petrovic, decisamente, — non vi è niente da fare; è una stoffa che ha fatto il suo tempo. Sarebbe meglio farne dei peduli per l’inverno, questi vi terrebbero i piedi più caldi delle calze. Furono i tedeschi ad inventare i peduli, e hanno guadagnato molto danaro con questo articolo.
Petrovic non si lasciava sfuggire nessuna occasione di dar una botta ai tedeschi.
— Dovete farvi un’uniforme nuova, — aggiunse.
— Una uniforme nuova?...
Akaki Akakevie vide nero. Il laboratorio del sarto gli girava intorno, e il solo oggetto che potè vedere distintamente fu il ritratto del generale coperto di carta sulla tabacchiera di Petrovic.
— Un’uniforme nuova? — mormorò come perduto in un sogno; — ma non ho danaro.
— Sì, una uniforme nuova, — ripetè Petrovic con insistenza crudele.
— Ma... anche... se... supponendo che prenda simile risoluzione... quanto?...
— Volete dire quanto vi costerà?
— Sì.
— Qualcosa meno di centocinquanta rubli di carta, — rispose il sarto, stringendo le labbra.
Questo maledetto sarto prendeva un piacere affatto particolare nel mettere i clienti in affanno, spiando col suo unico occhio losco l’espressione del loro viso.
— Centocinquanta rubli per un cappotto? — disse Akaki Akakevic.
E il consigliere titolare pronunciò queste parole con un tono che somigliava a un grido, forse il primo che aveva emesso dopo la nascita, perchè d’ordinario parlava con la più grande timidezza.
— Sì, — rispose Petrovic, — senza il collo di martora e la fodera di seta per il cappuccio, che faranno insieme duecento rubli.
— Petrovic, vi scongiuro, — interruppe Akaki Akakevic con voce supplichevole, non ascoltando più e non volendo più ascoltare il sarto, — vi scongiuro di riparare questo pastrano, perchè possa durare ancora qualche tempo.