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Abbiamo tenuto a riportare i fatti esattamente, perchè il lettore si persuada bene che la cosa non poteva andare altrimenti e che il piccolo Akaki non poteva aver ricevuto altro nome.

A che tempo Akaki Akakevic entrò nella Cancelleria e chi gli fece ottenere quel posto, nessuno oggi potrebbe dirlo. Ma i superiori d’ogni ordine avevano un bel succedersi; lui si vedeva sempre allo stesso posto, nella stessa attitudine, occupato del medesimo lavoro, conservando lo stesso ordine gerarchico, così bene, da costringere a credere che fosse venuto al mondo tale qual’era, con le tempie calve e l’uniforme ufficiale.

Nella cancelleria dov’era impiegato, nessuno lo rispettava. Gli stessi giovani d’ufficio non si alzavano quand’egli entrava, non ponevano mente a lui, non ne facevano più caso d’una mosca che fosse passata volando. I superiori lo trattavano con tutta la freddezza del dispotismo. Gli aiutanti del capo d’ufficio si guardavan bene dal dirgli, quando gli gettavano sotto il naso una montagna di carte:

— Abbia la bontà di copiar questo.

Oppure:

— Ecco qualcosa di interessante, un grazioso lavoretto.

O un’altra parola amabile, com’è d’uso fra gl’impiegati per bene.

Akaki, a sua volta, prendeva gli atti, senza chiedersi se avevano torto o ragione di portarglieli. Li prendeva e si metteva subito a copiarli.

I colleghi, più giovani di lui, ne facevano l’oggetto dei loro scherzi e il bersaglio ai loro tratti di spirito — per quanto gl’impiegati di cancelleria possano pretendere a far dello spirito. — Talora raccontavano inanzi a lui un fascio di storie imaginate a capriccio sul suo conto e su quello della donna che l’ospitava, una vecchia settuagenaria. Dicevano ch’essa lo picchiava, oppure gli chiedevano quando la condurrebbe all’altare, oppure lasciavano cadergli addosso ritagli di carta, sostenendo che eran fiocchi di neve.

Akaki non aveva una parola di rimbrotto contro tutti questi attacchi; faceva come se non vi fosse anima intorno a lui. Tutte queste piccole cattiverie non avevano alcuna influenza sulla sua assiduità al lavoro; pur fra tante tentazioni a distrarsi, non faceva un solo sbaglio di scrittura. E allorchè lo scherzo diveniva troppo intollerabile, allor-