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NOVELLE | 107 |
VII
— Son io, piccina mia! son io, mio cuore! — intese Caterina, tornando in sè; e si vide innanzi la vecchia serva. La baba1, ginocchioni, le sembrava borbottasse qualcosa, e stendendole sopra la mano rugosa, la spruzzò d’acqua fresca.
— Dove sono? — chiese Caterina, alzandosi e guardandosi attorno. — Innanzi a me mugola il Dnepr; dietro, sono le montagne... Dove mi hai condotta, baba?
— Non ti ho condotta, ma portata via; ti ho portata via sulle braccia dalla cantina dove si soffoca; e ho rinchiuso la porta a chiave, perchè non ti colga male dal pan Danilo. — Dov’è la chiave? — domandò Caterina, guardandosi la cintura: — non la veggo.
— Tuo marito te l’ha sciolta per andare a veder lo stregone, piccina mia!
— Andare a vederlo!... Baba, sono perduta! — gridò Caterina.
— Se Dio ce la perdoni, figlia mia, non dirne parola, mia poverina cara, nessuno saprà niente.
— Se n’è scappato! II maledetto anticristo se n’è scappato! intendi, Caterina? — disse il pan Danilo accorrendo verso la moglie.
Gli occhi gettavan lampi; la sciabola, come percossa. gli tremava a fianco. La moglie fu colta da pallore mortale.
— Qualcuno l’avrà fatto uscire, marito mio? — chiese lei tremante.
— Qualcuno l’avrà fatto uscire; hai ragione, e l’ha fatto uscire appunto il diavolo. Or ve’, al suo posto era una trave incatenata. Dio ha dunque voluto che il diavolo non tenesse le mani cosacche. Se mai fosse un de’ miei cosacchi a propiziar la fuga, e io lo sapessi... non saprei trovar castigo grande degno di lui.
— E se fossi io? — disse non volendo Caterina, rimanendo impietrita dal terrore.
- ↑ Celebre nelle fiabe è la baba-yaga, una specie di strega o fata, or malefica, ora benefica.