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minente abbia inventato, fino ad oggi, la dialettica del suicidio: sono, direi quasi, il substratum di codesta sostanza, il risultato ultimo dell’ingrata distillazione.

Vediamo.

Il paragone, che Werther istituisce tra il suicidio per patimenti morali, e il suicidio per patimenti fisici, collocandoli amendue sulla medesima linea, col solo suffragio degli argomenti recati, è già stato a suo luogo confutato1. Che i mali fisici sembrino alcuna volta superare la misura delle nostre forze (noti il lettore che abbiamo pensatamente detto sembrino), non vogliamo sconoscere. Che, poi, nei mali morali, la somma delle forze, atta a sopportarli, non faccia mai difetto, perocchè Dio non ce l’ha certo negata — e al-

  1. Vedi, nella Lettera 12 agosto, la risposta d’Alberto alle ragioui, che Werther espone intorno, direi così, alla irresponsabilità dell’atto suicida.