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ha termine. Sarebbe un primo passo alla condanna della morte volontaria.
Alessandro Manzoni va più innanzi. Il suo Adelchi, quella simpaticissima figura, a cui l’infortunio cinge il capo d’un’aureola di grandezza, quasi da martire, rimastica anch’egli — e in un Monologo anch’egli — la desolata idea del suicidio. Ma non è che il durare d’un lontano baleno: si direbbe che il pensiero della distruzione volontaria di sè stesso ei non l’ha concetto; che è comparso furtivamente all’anima sua — ma l’ha appena sfiorato, a modo di fuggevole visione. Ei si sdegna quasi con sè medesimo d’aver potuto accogliere un’idea così pusillanime, così indegna di lui! Credente in Dio, ei si pente d’un moto, che reputa vigliaccherìa non pure, ma misfatto al cospetto del Creatore, e mancanza di gentilezza e di pietà verso il padre, sventurato pur esso — e forse più di lui. Rimasto pressochè solo sulla pol-