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werther.
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O Guglielmo, perchè non è lecito sguainare il ferro come uno

    Berrathon, nelle poesie d’Ossian, così volgarizzato da Melchiorre Cesarotti:

    «Verrà doman chi mi mirò pur oggi
    Gaio di mia beltà,
    Ei scorrerà col guardo e campi e poggi,
    Ma non mi troverà.
    Così d’Ossian ben tosto andranno in traccia
    Di Cona i figli, allor che fia tra i spenti;
    Usciran baldi i giovinetti a caccia,
    Nè udran la voce mia sonar su i venti.
    Ov’è, diran dolenti,
    Il figlio di Fingal chiaro nel canto?
    E ’l volto bagnerà stilla di pianto.»

    I lettori perdoneranno, se qui restituisco alla prosa italiana la prosa originale del testo inglese, reintegrando, ad un tempo, la citazione dell’innamorato:
    «Il tempo del mio languire è vicino, vicino il turbine che sperderà le mie foglie. Verrà domani il viandante; verrà colui che mi contemplò nella mia bellezza. Le sue pupille cercheranno il campo; ma non mi troveranno.»
    (Fin qui è un fiore che parla al vento della tempesta: indi ripiglia Ossian):
    «E cercheranno indarno la voce di Cona, da che più non era nel campo. Verrà il cacciatore in sul mattino, e la voce dell’arpa mia non sarà udita. — Dov’è — dirà — il figlio dell’inclito Fingal? — E una lagrima sarà sulla sua guancia!» (Nota del traduttore.)

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