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buffato dai venti, quando la luna versa più pallida la sua luce sulla

    appunto è il caso in questo passo del Werther, e poco dopo; l’inglese, con forma non molto dissimile, ha heath. Consultando i dizionari bilingui dei due parlari, e i nostri, ho trovato scopeto, sterpeto, stipeto, sodaglia — e non so che altro. I Milanesi, intanto, coo vetusto termine sgusciato di Gallia, lo chiamano brughiera, che non è, come ognun vede, se non la bruyère de’ Francesi d’oggi; ma è moneta reietta dal resto d’Italia, che nemmeno la conosce. Nè mi sono accorto che il gerbido, o gerbide, che i Piemontesi stampano nelle loro carte geografiche — ed ha sorella la gerbaia — abbia corso finora miglior fortuna. C’è la landa, altra voce gallica, antichissima anch’essa; e ben l’accetterebbero i poeti; non forse i geologi e gli studiatori di botanica. Ma, se un luogo, ove abbondano le ginestre, lo chiamiamo ginestreto, o ginestraio (o fors’anco ginestriera), perchè una landa sparsa di eriche, non si potrà chiamare ericaia, o ericeto? Il nome risponderebbe allora perfettamente alla cosa e ai nomi stranieri insieme, rammentati dianzi, a quella guisa che al brugh lombardo (erica) risponde la brughiera. Confidiamo che, un giorno o l’altro, l’unità politica, nel tirar lo stivale all’unità di linguaggio, penserà a solvere anche codesta questione. (Il traduttore italiano.)