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werther. 251

ch’io non saprei ben definire se lo tentassi. Ordinai al postiglione che sostasse al gran tiglio, lontano un quarto d’ora dalla città, e quivi scesi per continuare a piedi il mio cammino, e bermi, a sorso a sorso, quell’aure pregne delle prime memorie della vita, e richiamarmi intorno al cuore tutto quanto in altri giorni m’era stato diletto. E tu m’avresti veduto sotto a quel tiglio, che a me, fanciulli, era mèta e confine delle mie passeggiate. Come la scena è mutata! Allora io non anelava che a correre, nella mia felice ignoranza, pei campi, cercando aria e luce al mio petto, giovenilmente palpitante d’allegrezza, ignaro dei lunghi, cupi, inesorabili dolori dell’esistenza. Ora io ritorno dai piaceri del mondo, con tante speranze annientate,