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dere dall’orizzonte, e leggicchiarmi in Omero il sublime canto, dove Ulisse è ospitato dall’egregio mandriano dei porci.1 — E fin lì, nè ben nè male, in fondo.

Ma or viene il marcio. Torno dai colli, e sono la sera a tavola nella locanda: poche facce, e quei pochi, a cui appartenevano, erano intenti a giocare ai dadi, in un cantone, col tovagliolo rimboccato. Or eccoti entrare l’onesto A***, che deposto il cappello, mi guarda, e

  1. Forse il libro XIV dell’Odissea, in cui segnatamente è il passo:

    «A quell’atto di gioia, intenerito,
    Proruppe Ulisse: Deh! propizio vegli
    L’alto Giove su te, che sì cortese
    A lieto ospizio in tua magion m’accogli.»

    Cito la bella traduzione del dottor Paolo Maspero, senza pregiudizio alla fama d’Ippolito Pindemonte, di cui ora non ho alle mani il celebre lavoro. (Nota del traduttore.)