Chè nell’intime viscere ci ferve
Cieca una pugna, or contra noi spietata,
Or contra tutto ci si accampa intorno,
E un desire un desir spegne — e no’l salda —
E fuori è notte allor che dentro è luce.
Ecco il vivo fulgor d’una sembianza
Vela a un tratto la torbida pupilla:
Ahi! la Fortuna è presso — e mal si scerne.
E pur l’uom di conoscerla s’affida!
E la queta beltà d’una gentile
Gagliardamente i sensi nostri assalta:
Lieto, qual ne’ suoi verdi anni infantili,
Primavera ei medesmo in primavera,
S’inebbria il giovinetto, e meraviglia
Di quel novo sentir. Guata a’ suoi fianchi:
Il mondo è suo. Fuor, nell’aperto, il caccia
Una ressa incessante e spensierata,
Nè inciampo nullo, non palagio o mura,
Gli vieta il passo. Come allegro stormo
Rade d’augelli le chiomate selve,
Dintorno all’amor suo così s’aggira,
Quasi librato a volo, ed agli eterei
Campi, che di buon grado egli abbandona,
Chiede un guardo fedele — e in lui riposa.
Ma troppo tosto ravvisato in pria,
Poi tardi troppo, ei sente il vol precluso,
Il vesco sente che gl’impania il piede.
Oh! il rivedersi è dolce, il partir grave,