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werther. 191

tirio delle mie piante insanguinate, e guato alla luna che piove tutti i suoi raggi sulla terra, finchè la fatica m’assonna. — Riposo non riparatore di forze!

Oh dolce amico! la solinga cella del cenobita, il suo cilicio di crini, il suo cordiglio di triboli, sarebbero un ristoro allo strazio della povera anima mia. — Addio. — La sola fossa può metter fine a tanta miseria.


3 settembre.

Bisogna assolutamente ch’io parta. Abbiti le mie grazie, amico, d’avermi rinfrancato nel mio vacillante proponimento. Corrono già due settimane che il disegno di abbandonarla m’è sòrto nella mente. Sì: convien partire: Ella è di nuovo da una sua amica, in città.