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gridano, si provocano, cantano, giuocano, scagliano imprecazioni, fanno chiasso. Ed alla sera vanno in teatro, vedono e sentono la loro vita di ogni giorno rappresentata al vero, innestata in una favola che le maschere recitano con una evidenza, con una verità inarrivabile. E tutti vi si divertono, quasi fossero altrettanti ragazzi, e ricominciano di bel nuovo a gridare, a far chiasso, ad applaudire. Da mattina a sera, anzi da una mezzanotte altra, lo spettacolo è sempre lo stesso.
Non ho mai veduto recitare con tanta naturalezza, quanto da queste maschere, e per raggiungere quella perfezione, non bastano le disposizioni naturali le più felici, è d’uopo ancora di una lunga pratica.
Mentre io stò scrivendo queste parole, tuttochè sia battuta già la mezza notte, sento tuttora un grande chiasso nel canale sotto la mia finestra. Sia che si disputino, sia che si trovino d’accordo, fanno sempre romore.
Il 4 Ottobre.
Oramai ho udite tutte le varietà di oratori pubblici, tre giovani i quali narravano ognuno a modo loro storie sulle piazze o sulle rive del canale, due avvocati, due predicatori, finalmente gli attori, e fra questi devo fare menzione particolare del Pantalone; tutti poi avevano in certo modo carattere identico, sia perchè appartengono ad una stessa nazione, sia perchè vivendo sempre in pubblico, parlano di continuo con impeto, con vivacità; sia ancora perchè cercano imitarsi a vicenda. Ed alle parole aggiungono di continuo il gesto, col quale cercano spiegarsi e dare maggior forza ai loro pensieri, alle loro idee, ai loro sentimenti.
Oggi, giorno di festa di S. Francesco, mi portai nella chiesa dedicata a questi, alle Vigne. La voce del cappuccino il quale vi predicava, era accompagnata, quasi fosse un antifona, dal grido dei merciaiuoli per istrada; io stavo sulla porta della chiesa fra questi e quello, ed erano curiosi tutti ad udire.