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l’ideare mentre stavo passeggiando un buon regolamento di pulizia edilizia, ed un magistrato il quale ne curasse seriamente l’osservanza. Tanto è naturale ad ognuno, la tendenza ad ingerirsi negli affari degli altri!


Il 2 Ottobre 1786.

Mi affrettai di portarmi alla Carità; avevo trovato nelle opere del Palladio, ch’egli aveva formato per quel monanastero un progetto, nel quale si era proposto riprodurre le disposizioni delle abitazioni dei ricchi nell’antichità. La pianta pregevolissima, sia nel complesso che nei particolari, mi era andata sommamente a genio, ed io mi lusingavo di trovare un capolavoro architettonico, ma ohimè? l’opera non è eseguita che per la decima parte forse, se non chè anche questo poco, rivela il genio dell’autore, per la felicità dell’idea complessiva, e per una finitezza ed una precisione di esecuzione poi, della quale io non avevo fin qui idea. Si starebbe un anno a contemplare quell’opera, ed io ritengo nulla si possa vedere di più sublime, di più perfetto in architettura. E difatti la è opera di un artista eccellente, nato con il senso intimo del bello e del grandioso, e nudrito allo studio indefesso ed accurato dell’arte antica, il quale trovò occasione di dare corpo ad una sua idea prediletta, quella di riprodurre le forme, la distribuzione di un antico edificio privato, in un convento destinato all’abitazione di molti monaci, non che a raccogliere forastieri.

La chiesa comincia per essere bella; da questa si accede ad un atrio di colonne d’ordine corinzio, un vero incanto, e tosto scompare ogni idea di preti e di frati. Da una parte stà la segrestia, dall’altra la sala del capitolo, ed ivi pure scorgesi la più bella scala del mondo, colla gabbia ampia aperta, e con i gradini incassati nelle pareti con tale sottile artifizio, che l’uno serve di sostegno all’altro. La si sale e la si scende comodissimamente, ed a dare un idea della sua perfezione, basterà accennare che