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palchi leggieri per quelli i quali possono pagare; gli altri si aggiustano in quel modo che possono migliore, e sorge allora il compito dell’architetto, trovare mezzo cioè di dare soddisfazione a quel bisogno generale. Egli forma coll’arte un tale cratère quanto può più semplice perchè il popolo stesso ne debba formare l’ornamento. E quando lo vidde pieno di popolo dovette provare egli stesso stupore, scorgendo a vece della confusione, del disordine al quale era avezzo, a vece di tutti quelle teste vaganti quà e là, oscillanti; un tutto ordinato, riunito, che forma un complesso unico, ed il quale si sarebbe potuto dire animato da un solo spirito, ed avente vita propria. La semplicità dell’elisse è facilmente accessibile a qualunque occhio; ogni testa serve in quello al complesso, giova a formare un tutto, una cosa sola. Ora nel vedere un anfiteatro vuoto, non si ha misura per giudicarne la capacità, si ignora se sia vasto o ristretto.

I Veronesi meritano encomio per la buona conservazione di questo loro monumento. È costrutto di una specie di marmo rossiccio, il quale si degrada sotto l’influenza del tempo, e perciò è mestieri ristaurare quà e là di tempo in tempo i gradini, e poco per volta pare siano stati rinnovati tutti. Un iscrizione fa menzione di un Geronimo Maurigeno, e della diligenza somma da esso impiegata nella conservazione di questo monumento. Non si scorge più che una parte delle mura esteriori, ed io dubito sieno mai state ultimate. Le volte sotteranee, le quali sono aderenti alla grande piazza denominata il Brà vennero date in affitto ad artieri, ed è curioso vederli uscire fuori da quegli antri, ora popolati di bel nuovo.


Verona, il 16 Settembre.

La porta più bella della città sempre chiusa, ha nome di Porta Stupa, ovvero del Pallio. Vista da lontano quale porta, uso a cui non serve, non produce grande effetto; è d’uopo avvicinarvisi per riconoscerne il pregio architet-